La Repubblica, 31 agosto 2017
Lettera al Direttore
CARO direttore, mi permetto di dissentire dalle critiche alla sinistra italiana avanzate martedì dal professor Marzio Barbagli a proposito di immigrazione e criminalità. La sinistra nostrana ha tanti difetti, ma su questo tema si muove bene, in sintonia con le posizioni della Chiesa, del governo e della maggioranza degli italiani. Non mi risulta che il Pd e i suoi dintorni stiano ignorando o coprendo una realtà scomoda da accettare, come quella di una forte incidenza degli immigrati nella perpetrazione di reati violenti.
Non siamo in presenza di una ondata di criminalità determinata dall'aumento dell'immigrazione, come blaterato da Salvini e soci. Sta accadendo, come Barbagli d'altra parte sa, esattamente il contrario. Dall'inizio degli Anni '90 ad oggi la criminalità più violenta è discesa costantemente, e non solo in Italia, Paese nel quale gli omicidi si sono ridotti di oltre il 70% e continuano a ridursi. E ciononostante una ondata di immigrazione dall'estero senza precedenti.
Ci sono poi i minitrend e le controtendenze. So bene che gli immigrati commettono, come sottolinea Barbagli, una quota sproporzionata di reati violenti e predatori. Ma è un errore enfatizzare questo dato e costruirvi sopra le paure e gli odi collegati. Barbagli attribuisce la criminalità degli stranieri allo status migratorio e non all'età in primo luogo, e alla maggiore visibilità e vulnerabilità dei delinquenti di origine straniera rispetto agli autoctoni. Gli immigrati compiono più omicidi perché si trovano nella fascia di età — sotto i 30 anni — entro la quale la stragrande maggioranza dei reati violenti si compiono. E sono sovrarappresentati nelle statistiche sugli arresti e sui detenuti perché poveri, giovani e privi di connessioni col territorio.
Un potenziale distruttivo da non sottovalutare, certo, presente in Italia come altrove in Europa. Ma il megatrend depressivo della violenza che domina il tutto finisce col mitigare di molto il pericolo che questi giovani stranieri si trasformino in delinquenti professionisti, casseur, terroristi e simili. L'Italia, poi, si avvantaggia — rispetto al resto dell'Europa — dell'assenza di ghettizzazione territoriale, dell'influenza del solidarismo laico e cattolico e delle tradizioni antirazziste e anticoloniali di una sinistra che, su questo tema, deve semmai mostrarsi più risoluta.
L'autore è professore di Sociologia all'Università di Sassari, è stato parlamentare e vicesegretario generale delle Nazioni Unite