Il Fatto Quotidiano, 17 Marzo 2020
Coronavirus e recessione preesistente stanno creando una tempesta economica perfetta, ma oggi possediamo una migliore consapevolezza degli strumenti di contrasto, il maggiore dei quali è il cosiddetto Quantitative easing (QE) a disposizione delle Banche centrali. Il QE non è altro che l’immissione nel sistema finanziario di grandi quantità di denaro a costo zero o quasi: 3.500 sono i miliardi di euro già impiegati dalla Bce per la sola Eurozona. È fondamentale comprendere che il denaro del QE è tutto fiat money, denaro virtuale che una volta si stampava fisicamente e che oggi è solo una serie di segni su una scheda elettronica della Banca centrale. Il fiat money non proviene, infatti, da depositi preesistenti e non è garantito da nient’altro che dalla garanzia “politica” del sistema cui appartiene l’autorità emittente, ed è quindi uno dei pilastri essenziali della sovranità dello Stato.
Il volume di fuoco del fiat money è immenso. Il whatever it takes di Mario Draghi che ha stroncato l’attacco all’euro del 2012 conteneva un’allusione al fatto che la Bce possiede un’arma di potenza illimitata, conferitagli appunto dalla sovranità monetaria. Il QE ha dimostrato la sua forza salvando l’euro ed evitando che la crisi si trasformasse in una replica del crollo degli anni 30 che portò il capitalismo sull’orlo dell’estinzione. Ma ha mostrato anche due limiti: non ha generato quel minimo di inflazione che sarebbe stata necessaria per riavviare la crescita, e non ha determinato alcun comportamento virtuoso né da parte delle banche né da parte delle grandi imprese. Queste ultime non hanno trasformato la liquidità aggiuntiva in investimenti nell’economia reale, ma l’hanno usata per operazioni di ingegneria finanziaria e per buy-back delle proprie azioni che hanno arricchito solo i loro azionisti. È venuto allora il momento di porsi una domanda. Perché non usare questo strumento in una direzione diversa, in grado di avere un impatto anti-crisi grandemente superiore? Mi riferisco a quello che viene chiamato il people’s quantitative easing, il QE democratico, che consiste nel trasferimento diretto, dalla Bce ai cittadini, di una somma consistente, da spendere nell’acquisto di beni e servizi entro un dato periodo di tempo. Una specie di “assegno europeo”, da reiterare mensilmente per uno o due anni, ai cittadini dell’Eurozona. Un bonus, non un prestito, che non verrebbe a gravare sui bilanci degli Stati e delle famiglie e non ne aumenterebbe l’indebitamento. Non esistono ostacoli giuridici di rilievo a questa misura. Si tratta solo di trasferire direttamente ai cittadini consumatori risorse destinate finora solo alle banche, e capaci di stimolare subito l’economia. Una misura temporanea, che potrebbe creare anche quel po’ di inflazione ricercata da tempo e senza successo dalla Bce.
Quanto costa l’assegno europeo? Secondo l’economista di Oxford John Muellbauer, la Bce potrebbe trasferire 500 euro al mese a larga parte dei 275 milioni di adulti dell’eurozona tramite un assegno individuale agli iscritti alle liste elettorali. La cifra totale si aggirerebbe intorno ai 1.500 miliardi di euro all’anno: un colpo di bazooka pari all’11% del Pil dei 19 Paesi interessati. L’assegno europeo contribuirebbe a unificare l’Eurozona perché avrebbe il suo massimo impatto su Italia, Francia e altre nazioni del Sud, il cui Pil potrebbe salire di oltre 2 punti. Ma tutto finirà col dipendere dalla dinamica politica della crisi, cioè dal fattore U-e. Mi riferisco al fattore Unione europea ed euro. La tempesta in arrivo determinerà la loro sorte. Cosa faranno Bce, Commissione, Consiglio e Parlamento europei? Si limiteranno a salvare le banche o useranno le loro armi più potenti – come l’ assegno europeo che stiamo proponendo – per garantire anche il diritto alla sicurezza economica di noi tutti? Passeremo dall’Europa delle banche a quella dei cittadini?