Non bisogna ascoltare i costruttori di paure che agitano lo spettro del fondamentalismo islamico. In piazza ci sono forze laiche e spontanee.
l'Unità, 1 feb. 2011
L'analisi di Pino Arlacchi
È un vento di libertà quello che soffia dal Nordafrica, e chi tiene alla democrazia deve essere all’altezza del messaggio che ci arriva da quei luoghi. Anche perché c’è chi semina dubbi e paure. Profeti di sventura e conservatori alimentano confusioni di ogni risma (vedi i fondi di Sartori e soci sul Corriere della Sera) sugli esiti della rivoluzione democratica in corso in Egitto e nel mondo arabo. Ma chi conosce quei contesti e crede nello sviluppo umano non può che gioire per quanto sta accadendo.
La destra globale agita in questi giorni lo spettro del radicalismo islamico acquattato dietro le ali dei movimenti e pronto a venire allo scoperto un minuto dopo l’uscita di scena dei tiranni. Una volta abbattuto l’arco delle autocrazie filoccidentali che si estende dalla Mauritania alla penisola arabica, ci ritroveremmo a fronteggiare un arco di democrazie fondamentaliste a noi potenzialmente ostili. Una specie di riedizione su scala allargata dell’incubo khomeinista post-1979.
Questo scenario sembra ben costruito, ma in realtà è campato in aria. Perché si basa sulla vittima concettuale più illustre del cambiamento in atto: l’idea dello scontro di civiltà, cioè di una frattura irriducibile tra l’Occidente e il resto del pianeta, e in particolare con il mondo islamico. Mi riferisco a tutte quelle speculazioni sull’incompatibilità tra Islam e democrazia, sul rapporto privilegiato tra Occidente e libertà civili, e sulla necessità di esportarle in un Medioriente insensibile ai valori della democrazia liberale.
Bene. Se c’è una cosa che balza agli occhi, è il fatto che siano proprio questi i valori per i quali migliaia di dimostranti stanno rischiando la vita scendendo in piazza nei più diversi contesti del mondo arabo. Non c’è nulla di specialmente “islamico” nelle loro rivendicazioni. Essi stanno animando un’ondata di democratizzazione la cui somiglianza con quelle precedenti, avvenute in altre parti della terra, è impressionante. Come si fa a non vedere in questi movimenti il tracciato inconfondibile dei diritti dell’uomo che si affermano, e dei valori universali che non hanno bisogno di essere esportati perché già presenti in ogni angolo del pianeta e in ogni essere umano?
Occorre essere davvero ciechi di fronte alle ragioni dell’emancipazione umana (essere cioè di destra), o interessati ad altre cose, per non riconoscere la matrice progressiva ed universale degli eventi che stanno scuotendo il Nordafrica e il Medioriente. Le altre cose sono il mantenimento dei privilegi delle dittature locali e degli interessi occidentali nel petrolio, nelle materie prime, nelle vendite di armi e nella supremazia a tutto campo nella regione.
Parlo di matrice universale perché la crescita della democrazia si è rivelata inarrestabile. Nel 1974 c’erano solo 40 democrazie nel mondo, e quasi tutte in Occidente. Negli anni ‘70 la democrazia si è estesa in Europa occidentale, con la caduta delle dittature in Portogallo, Grecia e Spagna. Negli anni ‘80 militari e dittatori si sono ritirati dal potere a favore di governi elettivi in 9 paesi dell’America Latina e in parte dell’Asia (Filippine, Pakistan, Bangladesh, Nepal, Tailandia). Negli anni ‘90 quasi tutte le nazioni latinoamericane erano democratiche, e il crollo del Muro di Berlino ha rapidamente trasformato l’intera Europa orientale, Russia inclusa, in un’area democratica. Nel 1994 anche il regime più odioso del mondo, l’apartheid sudafricano, è caduto, cedendo il passo a una democrazia. E lo stesso è avvenuto in vari stati africani.
Nel 2010, secondo Freedom House, 147 su 194 paesi potevano essere considerati liberi o parzialmente liberi: il 75%, comprendenti i due terzi della popolazione mondiale.
E parlo di matrice progressiva degli eventi in Egitto e altrove perché solo nelle democrazie i diritti fondamentali hanno la possibilità di crescere, e perché solo nelle democrazie si sviluppa l’avversione alla guerra che l’ha resa obsoleta, moribonda, e quasi fuorilegge come strumento di politica estera. La proposizione che due democrazie non si fanno tra loro la guerra, la pace democratica, è diventata quasi un assioma della scienza politica contemporanea.
Lo spettro del possibile “takeover” degli islamisti radicali è, appunto, uno spettro. Chi lo agita non ha prove credibili. Conta solo sulla paura, l’ignoranza, e sull’inganno delle coscienze alimentato da un quindicennio di islamofobia, e di isteria sullo scontro di civiltà e sul pericolo terrorista. Né in Tunisia né in Egitto, in realtà, il crollo delle autocrazie è suscettibile di portare a governi e parlamenti dominati da estremisti. L’eventuale instaurazione della democrazia sarà seguita da regimi moderati, dove i fondamentalisti non potranno sperare di detenere posizioni maggioritarie. Tutto ciò per la ragione molto semplice che il 90% della popolazione di questi paesi non sostiene i gruppi integralisti. È composta da musulmani e cittadini moderati che vogliono solo vivere in pace, stare meglio, e godere dei propri diritti senza temere né aggredire nessuno.
La fine delle autocrazie non porterà caos, ma rafforzerà la stabilità e la sicurezza regionali. È avvenuto così in passato, e non esiste ragione perché questa volta le cose vadano in modo diverso. È successo in America Latina, dove la fine delle dittature non ha fatto emergere governi massimalisti, ma normali coalizioni democratiche che hanno disteso i rapporti tra i paesi e reso gradualmente superfluo il terrorismo.
È successo nell’Europa dell’Est, dove la caduta dei regimi comunisti non ha partorito alcunché di eccessivo nel campo politico, ma una serie di ordinarie democrazie sempre più simili alle nostre.
E il terrorismo di Al Queda e Bin Laden? Non approfitterebbe dei cambi di regime per impossessarsi di un paese islamico da lanciare all’ attacco dell’Occidente?
Chi avanza questa ipotesi non sa cos’è il terrorismo islamico e ne ignora le cause. Bin Laden e soci sono proprio il prodotto dell’assenza di democrazia in Egitto, Arabia Saudita e altrove. La rimozione delle attuali tirannie farebbe venire meno la ragione di essere del fondamentalismo più estremo, che è una reazione alle angherìe delle elites locali prima ancora che dei loro protettori occidentali.
Se gli integralisti si presentassero alle elezioni, competendo con regolari formazioni politiche moderate o anche radicali, ma collocate nell’alveo della dialettica politica non violenta, non raccoglierebbero consensi travolgenti. In Pakistan e nello stesso Egitto, quando è stato possibile misurarne la forza “pacifica”, i partiti islamisti estremi non sono mai andati oltre il 10-20% dei voti. Grandi paesi democratici come la Turchia e l’Indonesia, inoltre, sono governati da forze di ispirazione islamica moderata ancora criticabili in quanto a rispetto dei diritti umani, ma che agiscono nei teatri regionali con politiche sempre più favorevoli alla distensione e alla pace.
E poi, a che titolo i fondamentalisti potrebbero chiedere agli elettori dei loro paesi di affidargli il governo nazionale? I movimenti di questi giorni sono spontanei, o guidati da forze e persone laiche, provenienti dalla società civile, che non hanno a che fare con la Fratellanza musulmana e il terrorismo. La costruzione della democrazia nel Nordafrica e nel Medioriente è opera di forze esse stesse democratiche e non violente. Non è l’esito accidentale di uno scontro tra estremismi armati.
Non diamo ascolto, perciò, ai costruttori di paura. Diamo credito, invece, alle forze dell’emancipazione che stanno cambiando il mondo. Ancora una volta.