(AGI) - Caltanissetta, 22 apr. 2014 - "Il giudice Borsellino temeva che con l'arrivo di un nuovo ministro la lotta alla mafia avrebbe subito un freno. Scotti era stato forte. Qualsiasi avvicendamento, a prescindere dal colore politico, destava in lui preoccupazione". Lo ha detto Pino Arlacchi, consulente della Dia all'epoca delle stragi, sentito oggi al processo "Borsellino quater" a Caltanissetta. "A poche settimane da Capaci, dopo che Scotti annunciò la candidatura del magistrato a capo della Procura nazionale antimafia, mi disse che non avrebbe accettato. 'Non posso farlo perché mia figlia sta male, ha bisogno della mia presenza', disse".
"Dopo Capaci, avevo deciso di non presentare più il mio libro 'Gli uomini del disonore' e Borsellino mi disse che sarebbe venuto lui a presentarlo perché non bisognava abbassare la guardia. All'epoca - ha riferito ancora il teste - Scotti era oggetto di molti attacchi da ambienti collegati con pezzi dei servizi segreti che non perdevano occasione per attaccare l'allora ministro degli Interni, anche in maniera aperta. Arrivavano duri attacchi anche verso la Dia, contro l'antimafia di quel tempo. Ricevemmo molti attacchi - ha evidenziato Arlacchi - anche dopo le stragi del '93. Noi non avevamo dubbi che ad organizzarli era stata Cosa nostra e questo volevamo farlo capire anche allo Stato. Ci furono diverse riunioni con i massimi vertici investigativi dello Stato alle quali partecipavano anche i servizi segreti. Gli unici a sostenere che era stata Cosa nostra eravamo noi della Dia.
Qualcuno sosteneva che si trattava della mafia colombiana, altri di terrorismo balcanico, altri ancora di organizzazioni di immigrati collegati con cellule islamiche che intendevano protestare contro le leggi sull'immigrazione vigenti in Italia".