I miei nemici: mafiosi, spioni e faccendieri non solo italiani

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13 luglio 2007

Servizi segreti. Sono Stato loro. Funzionari Sismi al servizio degli americani contro gli interessi nazionali. Illegalità, malversazioni, gangsterismo

di Pino Arlacchi

È la terza volta che apprendo di essere oggetto delle attenzioni ostili dei servizi di sicurezza del mio Paese e per la terza volta mi trovo a pormi la stessa domanda. Servono davvero a qualcosa questi organismi? La prima volta che ho avuto la certezza di essere presente nelle liste del Sisde fu nel 1994. Ero deputato Pds e il ministro dell’Interno Maroni rese pubblica una lista di una quindicina di spiati, tra cui il sottoscritto. Ci arrabbiammo molto, ma forse non abbastanza. L’attenzione pubblica in quegli anni si concentrava sull’ antimafia e su Mani Pulite, e ci scordammo presto dell’ argomento.

Solo due anni dopo, fui costretto a prendere atto che la faccenda era stata in realtà più seria. Fui convocato dalla Procura di Aosta che indagava sul caso “Phoney money” e mi fu mostrato un fax del 1994 sequestrato ad un gruppo di faccendieri che si rivolgevano ai loro compari americani a proposito del sottoscritto. Il governo Ciampi mi stava prendendo in considerazione per una nomina a supervisore dei servizi di sicurezza. Vista la mia nota appartenenza al Regno del Male, l’Occidente era in pericolo e bisognava attivarsi perché dagli Usa arrivasse un segnale contrario adeguato alla gravità della minaccia. Il pubblico ministero di Aosta, preso nota tra l’altro del fatto che il Regno del Male era defunto già da qualche anno, fece in tempo ad arrestare un paio di patrioti-truffatori prima di soccombere sotto il peso delle tonnellate di spazzatura che le campagne di disinformazione gli rovesciarono addosso.

 

La colpa di Davide Monti era stata quella di scoprire con 10 anni di anticipo quei network di potere delinquenziale che continuano ad unire pezzi di Guardia di Finanza, Telecom, giornali, servizi di sicurezza e politica. Stessi nomi, stessi ambienti, e dieci anni perduti.

Me ne andai all’Onu e nel 2001-2002 fui oggetto di una violenta campagna di stampa a causa delle iniziative che avevo preso in Afghanistan (avevo osato parlare con i talebani che allora governavano il Paese) ed a causa di un progetto contro il riciclaggio internazionale che aveva infastidito le grandi banche. Siccome avevo un po’ più di potere, fui in grado di sapere qualcosa di più su questa campagna e sugli attacchi politici collaterali. Bene. Erano girati i soliti soldi e la solita corte di faccendieri, spioni, “giornalisti” e parlamentari presi in affitto si era scatenata contro di me. L’unica differenza era che il network era diventato più largo, a causa della internazionalizzazione e della più profonda corruzione del Paese. Fui bombardato di spazzatura lanciata da quote variabili. Adesso apprendo che Mr. Pompa nel 2001 mi aveva inserito in una lista di personaggi da colpire con azioni traumatiche. E vedo che l’ex direttore del Sismi, Pollari, ha aspettato fino all’altro giorno prima di scaricare Pompa ed i suoi dossier pieni di sterco contro persone perbene.

 

Cosa c’è di nuovo in questa storia? Nulla. Eccetto la finta mancanza di memoria di molti esponenti istituzionali che sembrano venuti al mondo l’altro ieri. I quotidiani sono pieni di interviste a Vispe Terese che non ricordano il ruolo nefasto giocato dai vertici dei Servizi nella storia politica italiana, in termini di partecipazione ad attentati e stragi, deviazioni di indagini, minacce e corruzione di testimoni, raccolta illecita di informazioni. Quasi nessuno ricorda il logoro espediente dei collaboratori esterni che vengono disconosciuti quando vengono scoperti e le cose vanno male. Oppure la vecchia tradizione anticomunista e fascista degli apparati italiani. O il loro servilismo verso gli angloamericani e la loro indifferenza verso l’ interesse nazionale. Come spiegare diversamente il linguaggio usato dal sig. Pompa nei suoi appunti a Pollari? Come spiegare la relativa attività di intercettazione, pedinamento e foraggiamento di “fonti” ostili contro gente, questa sì, impegnata a difendere la legalità e la sicurezza dell’Italia?

 

È la continuità di questo gangsterismo di Stato che passa indenne attraverso le stagioni politiche a rendere attuale la domanda sulla reale utilità di queste burocrazie. Per quale ragione dobbiamo pagare con le nostre tasse degli organismi che non sanno fare il loro lavoro, o che lavorano contro di noi e contro gli interessi del Paese?

La dipendenza dalla Cia del nostro servizio di informazioni per l’estero è pressoché totale. Abbiamo assistito, nel caso Abu Omar, ad esempi di funzionari Sismi che si offrivano alla Cia come doppi agenti e che invece di essere cacciati a pedate venivano lodati e protetti dai loro vertici. Quale garanzia di effettiva sicurezza può venire fornita da un simile apparato quando in campi cruciali come la politica energetica, i Balcani, il Medio Oriente, i rapporti con la Russia e la Cina, l’interesse nazionale dell’Italia diverge largamente da quello degli Stati Uniti?

Il governo ha dichiarato di avere recentemente messo alla testa dei servizi persone oneste e competenti, della cui lealtà non è lecito dubitare. Ma è già successo altre volte. Ci sono già state persone integre ai vertici di questi enti che non hanno combinato nulla di significativo, e non sono state in grado di cambiare un andazzo di illegalità e malversazione. Il punto non è questo.

Il punto sta nel profilo professionale dei capi degli uffici e nel mandato che si assegna loro. Non è questione di leggi, ma di coraggio e capacità decisionale. Non ha senso proseguire con la deleteria prassi di accontentare un po’ tutti, mettendo ammiragli, generali o prefetti che non parlano l’inglese a dirigere reparti internazionali; figli, mogli e cugini di potenti che vanno ad infestare ranghi delicati senza l’ombra di un concorso dietro le spalle. È errato per un governo di centro-sinistra continuare a sopportare un Cesis cimitero degli elefanti, un Sismi colonia militare e un Sisde fratello minore un po’ disabile.

 

Da uffici così mal strutturati non possono venire che guai. Non si può ignorare la rivoluzione delle mentalità e delle competenze che ha investito da un paio di decenni l’intelligence dei Paesi seri, dove gli agenti vengono reclutati su basi competitive e pubbliche. E quando si tratta di decidere l’assegnazione dei budget, Parlamento e Governo non possono ignorare la competizione crescente che nel campo dell’intelligence strategico viene messa in atto dalle università, dai centri di ricerca e finanche dalle grandi imprese delle nazioni più avanzate. È utile continuare a spendere cifre notevoli per ottenere analisi che non reggono il confronto con la ricerca prodotta da studiosi indipendenti?

E se perfino in questi Paesi ci si pone sempre più la domanda su che cosa abbia da guadagnare, in fin dei conti, una democrazia matura dal mantenere centri di potere opaco al proprio interno, figuriamoci se non è necessario porsi questi interrogativi da noi. È sconfortante che nell’Italia del terzo millennio un magistrato o un normale cittadino che abbiano a cuore il bene pubblico debbano ancora sentirsi minacciati dai signor Pompa e dalle cricche di inetti sul filo del tragicomico che lavorano contro le leggi e contro la sicurezza del proprio Paese.

 

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