Un giovane disoccupato di Milano e un giovane tunisino hanno molti punti in comune. Entrambi conoscono le cause del loro malessere. E sanno che il futuro dipende dalla qualità dei loro governi.
l'Unità, 26 gen. 2010
di Pino Arlacchi
Non sono pochi gli inganni messi a nudo dalla rivoluzione dei gelsomini in Tunisia. I giovani dimostranti non hanno solo rovesciato una delle tante autocrazie corrotte del mondo arabo. Hanno anche finito di distruggere il mantra neocon sulla necessità di esportare la democrazia fuori dall’Occidente.
Non c’è alcun bisogno di esportarla, la democrazia. L’Occidente non ne ha il monopolio. La democrazia è un bene universale, di cui possono farsi carico tutte le società civili del pianeta, se messe in condizione di esprimersi.
Sono solo l’ignoranza e il pregiudizio di molti commentatori che li portano a sorprendersi oggi di fronte alla sollevazione filodemocratica di masse arabe, africane e islamiche ritenute finora poco sensibili ai valori dell’autogoverno.
Non c’è molto di cui sorprendersi, in verità. La globalizzazione ha scavato sotto la superficie, livellando il terreno di gioco, diffondendo aspirazioni, sentimenti e malesseri dello stesso tenore in ogni angolo del pianeta. Al di sopra e al di là delle differenze di nazione, etnia e religione.
Un’altra mistificazione svelata dalla rivolta dei giovani nordafricani è quella che esista una alterità irriducibile tra le diverse sponde del Mediterraneo. Alterità che impone all’Europa di attuare politiche di vicinato completamente divergenti. Da venti e più anni l’Unione europea pratica una strategia schizofrenica, che consiste nel sostenere ad Est di se stessa le forze che si battono per la democratizzazione, e nella sua sponda Sud le autocrazie. Un po’ per il solito accodamento agli americani, un po’ per opportunismo petrolifero, un po’ per contrastare il fondamentalismo religioso, dopo la caduta del comunismo ci si è adagiati su una politica di buoni rapporti con qualunque tirannia nordafricana o araba, purché laica e attiva contro il cosiddetto terrorismo.
Quelle tirannie adesso tremano di fronte all’immenso malcontento che si è accumulato sotto i loro talloni. Malcontento generato non dalla propaganda di Al Qaeda ma dal loro malgoverno e dalla loro corruzione, cui si è aggiunta di recente la tempesta delle crisi finanziarie globali. I vari Mubarak, Ben Alì e soci non sanno come fronteggiare le conseguenze di tutto ciò. La recessione ha abbassato il tenore di vita dei più poveri e dei più giovani. Categorie spesso coincidenti, e che in vari paesi rappresentano oltre metà della popolazione.
Ma quanto accade nel Sud è solo una variante “hard” di ciò che succede qui da noi. La matrice è la medesima. Basta volerla riconoscere e non farsi distrarre dai conflitti di religione più o meno inventati, e dall’isteria antiterroristica e antislamica fomentata dai venditori di paura e di armi.
La globalizzazione economica e il fanatismo neo-liberale hanno partorito crisi finanziarie che hanno gettato nella povertà milioni di persone. Nello stesso tempo, la globalizzazione dell’informazione e della cultura ha messo nelle mani di queste stesse persone nuovi e potenti strumenti di emancipazione.
Un giovane disoccupato e incazzato di Milano, perciò, ha più punti in comune di quanto si pensi con un giovane di Tunisi. Quest’ultimo è certamente più povero, e talvolta è anche affamato. Ma non c’é più tra i due quell’abisso di istruzione e di accesso all’informazione che esisteva fino a qualche decennio fa. Può anche essere che sulle cose serie il tunisino sia addirittura più informato del suo coetaneo italiano, perché ha a disposizione Al Jazeera, che é meglio della RAI e della TV commerciale italiana.
È per queste ragioni che i due giovani hanno idee simili su chi e cosa ritenere responsabili del disastro in cui si sono venuti a trovare. Il tunisino protesta contro una cricca di governo che ha distrutto il suo futuro, e che di fronte alla stretta prodotta dall’ultima crisi ha pensato a se stessa fregandosene del suo paese e imboscando il proprio bottino all’estero.
L’italiano ha le idee un po’ meno chiare, perché é cresciuto nel vuoto berlusconiano dell’etica pubblica, e non deve fronteggiare la polizia violenta e la galera di un regime dispotico. Ma capisce che ad essere in pericolo sono comunque i suoi diritti fondamentali, e che il governo delle Mare, Maristelle, Ruby e canotte padane non gli porterà nulla di buono.
Entrambi i giovani sanno che le cause del peggioramento delle loro vite sono dovute a forze molto grandi, che non possono essere contrastate dai miserabili personaggi che incarnano le loro massime autorità.
E altri giovani, in molte altre parti del mondo, sentono lo stesso. Sono convinti che il loro futuro dipende dalla qualità dei loro governi. La democrazia é solo il primo passo. Ci vuole anche la capacità di essere all’altezza di quanto succede. La campana non sta suonando solo per Tunisi, ma per tutti noi.Un giovane disoccupato di Milano e un giovane tunisino hanno molti punti in comune. Entrambi conoscono le cause del loro malessere. E sanno che il futuro dipende dalla qualità dei loro governi.