Questo articolo è stato interamente ripreso dalla BBC Monitoring European il 3 gennaio. Il testo è disponibile cliccando su questo link.
l'Unità, 2 gen. 2014
L'analisi di Pino Arlacchi
Buoni contro cattivi. Filo-europei democratici contro filorussi autoritari. Rivoluzioni colorate come antesignane delle primavere arabe. Manifestanti ucraini, georgiani e kirghizi in linea con la sete di libertà di quelli iracheni, siriani, libanesi, e così via. Sono queste le chiavi di lettura sbagliate e fuorvianti che dominano i media occidentali e le politiche europee e americane dal 2000 a oggi.Cominciamo dal Kyrgystan. Nel 2005 i buoni filo-occidentali e antirussi guidati da Kurmambek Bakyev prendono il potere. È la rivoluzione dei tulipani, che segue un modello collaudato. Una serie di manifestazioni di protesta da parte di oppositori del regime rovesciano un dittatore legato al passato comunista tra gli applausi europei e statunitensi. Peccato che Bakyev abbia subito dopo inaugurato un regime altrettanto repressivo, con elezioni altrettanto fasulle e gravi violazioni dei diritti umani. Ed abbia evitato di allineare il Kyrgystan con l’Occidente, consentendo sia ai russi che agli americani di mantenere le basi militari sul proprio territorio in cambio di generosi aiuti. A chi? A se stesso e al suo clan. Com’è finita? Dal 2010 è al potere un Presidente filo-russo.
Ma la narrativa sulla rivoluzione dei tulipani del 2005 era stata preceduta da quella sulla rivoluzione rosa in Georgia nel 2003 e color arancio in Ucraina nel 2004. Il modello è sempre lo stesso. Un’elezione contestata viene seguita da manifestazioni di piazza di studenti, intellettuali e ONG antirusse che costringono la vecchia guardia dei cattivi a cedere il passo, via elezioni, a un Presidente giovane e occidentalizzato. In Georgia l’ex boss comunista Shevardnadze viene sostituito dal modernizzatore trentasettenne Saakashvili, un avvocato che aveva vissuto e lavorato a New York. In Ucraina, Viktor Yanukovych, un corrotto uomo d’apparato legato a Mosca, viene sconfitto da Viktor Yushchenko, un politico carismatico filo-occidentale, alleato di Yulia Tymoshenko, una sexi-riformista molto ricca che è un misto di Margaret Thatcher e Claudia Schiffer.
Il successo delle rivoluzioni colorate nei paesi ex-satelliti dell’Unione Sovietica crea una narrativa talmente forte da venire esportata in Irak dopo la caduta di Saddam Hussein. Le elezioni del 2005 diventano la rivoluzione color porpora, dal colore dell’inchiostro sul dito indice dei votanti che impedisce le frodi, e un signore chiamato Ahmed Chalabi viene venduto come il Charles De Gaulle dell’Irak. Nello stesso anno viene alla ribalta anche la rivoluzione dei cedri in Libano, seguita alle proteste per l’assassinio del leader sunnita Rakif Hariri.
Questa promozione della democrazia da parte dell’amministrazione Bush e dal suo docile alleato europeo si basava sull’ assunto che le forze in campo in Medio Oriente e ai confini della Russia, i buoni, si ispirassero tutte agli ideali della democrazia liberale e si muovessero compatte verso l’Occidente. Contro la Russia. Contro l’Iran. Contro l’estremismo religioso, la corruzione e la violenza politica.
Peccato che le cose abbiano preso una piega ben diversa. Le forze che si sono scatenate in quei contesti sono state quelle del nazionalismo, del tribalismo, del particolarismo etnico, del fanatismo politico mascherato da radicalismo religioso. Il tutto guidato da elites ciniche e corrotte. Non molto diverse da quelle che le avevano precedute.
Saakashvili in Georgia ha inaugurato un regime autoritario e avventurista, provocando la Russia e costringendo gli Stati Uniti a scaricarlo rapidamente. La sua uscita di scena nel 2013 avviene in favore di un Presidente che si propone di riallacciare i rapporti con la Russia.
Yushchenko e la Tymoshenko hanno governato cavalcando il nazionalismo distruttivo ucraino, rubando a più non posso, e non facendo nulla per avvicinare il paese all’ Europa. Ed è finita nel 2010 con il ritorno del solito cattivo Yanukovich. Il quale nel frattempo era diventato un po’ filo-europeo, mentre la Tymoshenko era diventata filo-russa dopo la conclusione di un mega-contratto energetico che ha procurato un danno all’Ucraina di 20 miliardi di dollari. E che l’ha portata in galera.
In Iraq, Chalabi si è rivelato presto per quello che era, un imbroglione voltagabbana, costretto presto a cedere il passo a governi sempre più attratti dall’Iran mentre il paese perdeva il pezzo pregiato abitato dai curdi e veniva squassato da una violenza settaria mai vista prima. Nello stesso tempo, la rivoluzione dei cedri si è trasformata in un feroce scontro tra sunniti e cristiano maroniti da un lato, e sciiti ed hezbollah pro-iraniani dall’ altro che tiene il Libano appeso a un filo.
Una valanga di insuccessi. Cui possono aggiungersi quelli in Libia, Afghanistan, Armenia, Siria.
I tre errori di fondo delle politiche euro-americane appaiono evidenti. Si è preteso di esportare qualcosa - la democrazia liberale - che non è esportabile perché se da un lato è già presente in potenza dappertutto in quanto universale, dall’altro ha bisogno dei suoi tempi e dei suoi vettori per crescere e consolidarsi. In secondo luogo, ci si è affidati a forze locali solo in apparenza interessate ai valori e alle istituzioni dell’Occidente, ma in realtà assetate solo di potere e di denaro. E pronte a cambiare casacca e usare l’ultra-nazionalismo e lo sciovinismo per restare a galla. Ma l’errore fatale è stato quello di proseguire la guerra fredda e lo scontro di civiltà contro le due maggiori potenze regionali, la Russia e l’Iran, invece di svoltare verso la cooperazione e la pace. Ma c’è tempo per cambiare, soprattutto se l'Unione Europea impara la lezione.