Il Fatto Quotidiano 21 Maggio 2020
Lo scenario di queste settimane richiama per certi versi quello del “golpe dello spread” che portò alla defenestrazione di Berlusconi e all’avvento di Monti nel 2011. Anche in questo caso ci sono la crisi economica, l’allarme sull’indebitamento italiano, un inizio di risalita dello spread, e una parte del circo mediatico-politico che invoca un governo gradito ai “mercati” (Draghi-unità nazionale). Tra le due situazioni c’è però un elemento in comune: il rischio di un nuovo attacco della finanza predatoria globale all’Italia e all’eurozona.
La crisi del 2008-12 fu soprattutto finanziaria e occidentale. Il dollaro, all’epoca, era preso tra due fuochi: da una parte la Cina lo teneva in ostaggio detenendo buona parte dei buoni del Tesoro americani; dall’altro c’era l’Europa con la sua moneta nata da pochi anni ma cresciuta rapidamente e fuori della tutela del dollaro. L’euro era arrivato a coprire il 30% degli scambi monetari mondiali, candidandosi al ruolo di valuta globale di riserva alternativa al biglietto verde. Una de-dollarizzazione fuori controllo è da sempre l’incubo dell’establishment Usa, il quale si orientò verso l’uso delle maniere forti: una stangata all’euro. Superato nel 2009 il momento più acuto della crisi, fu data via libera ai predatori di Wall Street. L’attacco prese la forma di un gigantesco gioco al ribasso lanciato da hedge funds e banche d’affari euroamericane contro i titoli sovrani dei Piigs – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna – prendendo a pretesto la loro esposizione debitoria verso l’estero. Fu creata la falsa narrativa dell’imminente default dell’Italia che obbligò Berlusconi a dimettersi. E il suo successore, Mario Monti, sistemò le cose facendo pagare a pensionati e lavoratori. La festa finì nel corso dell’anno successivo con il whatever it takes di Mario Draghi e con l’euro bastonato e rannicchiato nel suo destino di moneta senza Stato. A quasi dieci anni di distanza, gli attori sono gli stessi ma la partita è più grande ed estrema. Il capitalismo finanziario ha raggiunto lo zenit della sua potenza e si sente pronto a puntare al bersaglio grosso: non il ridimensionamento, ma la distruzione dell’euro al fine di spolpare poi i Paesi che lo adottano. La preda iniziale può essere l’Italia. Se l’aggressione funziona non c’è bisogno di spendere molta fatica per sottomettere il resto del branco. Viste le dimensioni della nostra economia, è tutta l’eurozona che salta assieme a noi. Questo tipo di gioco è presente nella testa della delinquenza finanziaria. Ma sta anche nella testa delle sue potenziali vittime, alcune delle quali non sono così vulnerabili come l’Italia e dispongono di armi di attacco e di difesa non indifferenti. Se usate per tempo. Ed è questo il punto cruciale. Cosa faranno la Germania e la Francia per difendere l’eurozona all’inizio dell’attacco, cioè quando ripartirà la litania sul pericolo di default dell’Italia con impennata dello spread? Alcuni segnali sembrano indicare un certo allarme: la decisione Bce di acquistare anche i bond declassati, la timida mutualizzazione del debito contenuta nel Mes e nel Recovery Fund, la sospensione di alcune misure dell’austerità. Ma è artiglieria leggera. E si è messo da parte il cannone degli eurobond. Che cosa farà l’asse franco-tedesco quando tuoneranno i veri colpi contro i bond italiani e quelli degli altri Piigs? Attenderà che venga attaccato il debito francese? Tenterà di ripetere il “golpe dello spread” a favore di esecutivi tecnocratici nei Piigs? Questa ultima ipotesi è insostenibile perché dietro l’angolo oggi ci sono solo governi sfascisti e ultra-nazionalisti.
La Germania non intende rinunciare a un marco svalutato che si avvale di un vasto spazio di cambi fissi, l’euro appunto. Per la Francia, si tratta di non finire tra i Piigs. Un possibile assalto del capitale finanziario, quindi, dovrebbe spingere l’asse franco-tedesco a usare le armi pesanti. Con l’appoggio delle istituzioni europee. Quali armi? A) si possono obbligare le banche europee a sfilarsi dal racket transatlantico. B) si possono promuovere azioni di contrasto a largo raggio contro la mobilità a breve termine dei capitali internazionali e contro le pratiche illegali degli hedge fund e delle piovre americane. C) si possono neutralizzare le agenzie di rating americane e private sostituendole con agenzie pubbliche ed europee. D) si possono rilanciare forme di Tobin tax rafforzate. E si potrebbe arrivare fino al limite di far risorgere la sfida al dollaro associando l’euro alle politiche de-dollarizzanti dei Brics. Ma c’è il rischio che questa dichiarazione di guerra arrivi tardi. Cioè dopo che l’Italia sarà uscita dall’Eurozona.