Strategia. I successi ottenuti a Herat fanno scuola
Corriere della Sera, 24 set. 2010
di Andrea Nicastro
Il generale David Petraeus ha inviato a tutti i reparti in Afghanistan un memorandum su come i contingenti militari internazionali debbano spendere i miliardi che hanno a disposizione. Sono due paginette dal sapore nostrano perché ciò che Petraeus suggerisce si ispira a ciò che i soldati italiani fanno da anni. Prima a Kabul e poi, soprattutto, ad Herat.
Da mesi il Congresso americano è furioso: i fondi destinati alla rinascita dell'Afghanistan e dispersi in corruzione e incapacità appaiono colossali. Petraeus sa che senza sviluppo economico non riuscirà a vincere la guerra e sa anche che una buona parte dei soldi occidentali destinati agli aiuti o alla sussistenza delle basi militari finiscono in realtà nelle tasche dei talebani.
Solo per trasportare ciò che serve alle sue basi militari in Afghanistan (dalla benzina agli hamburger, dalle pallottole alle bottiglie d'acqua), la Nato paga ad un cartello di ditte private 1,8 miliardi di euro l'anno. Quasi il 50% di questi soldi finiscono a talebani o criminali. Nella fattura di ciascun convoglio di rifornimenti è nascosta la «tassa di passaggio» per chi effettivamente controlla il territorio, siano «studenti del Corano», banditi o signori della guerra. Spesso sono gli stessi gruppi armati a saltare l'intermediazione e a diventare trasportatori diretti, meritandosi il soprannome di «Warlord, Inc» o «Signoridellaguerra Spa». Un affare che, secondo i calcoli del Parlamento europeo, supera addirittura quello delle tangenti sull'oppio dato che il gruzzolo gestito dagli appaltatori privati viaggia sopra i 10 miliardi l'anno. Paradossale: i fondi per i nostri i soldati mantengono anche chi cerca di ucciderli.
«Se spendiamo la grande massa di denaro a disposizione troppo velocemente e senza l'adeguata supervisione - ammette il generale Petraeus nel suo memo - possiamo alimentare la corruzione, finanziare le operazioni degli insorti, rafforzare le reti di controllo criminale e in definitiva minare l'insieme dei nostri sforzi in Afghanistan».
A dare al super generale i suggerimenti per il memorandum sono state le teste d'uovo delle strategie anti-insurrezionali (i Cat, Counterinsurgency Advisory Team). Questi teorici in divisa, strateghi militari, ma anche economisti, sociologi e antropologi, sono stati «inventati» da Petraeus in Iraq e anche chi lo aveva preceduto in Afghanistan li aveva sguinzagliati per raccogliere le «best practices», le «migliori abitudini», dei vari contingenti e cercare poi di esportarle a tutti gli altri.
«I Cat sono venuti a studiarci due volte e sono rimasti impressionati», racconta il colonnello Emmanuele Aresu, comandante dell'ufficio di ricostruzione italiano (Prt) di Herat. «Noi facciamo l'edificio di una scuola in 4 mesi. In 5 anni non abbiamo mai lasciato un lavoro incompiuto perché una ditta è scappata o fallita». Visto che i risultati c'erano, ma sulla piccola scala consentita dai fondi italiani (5 milioni), gli americani hanno messo alla prova il metodo Italia affidando al Prt di Aresu 13 milioni americani. La settimana scorsa Karl Eikenberry, l'ambasciatore Usa a Kabul e ipercritico nei confronti della corruzione del governo afghano, è andato ad Herat ed è rimasto a bocca aperta. I lavori che Washington aveva finanziato e affidato al Prt italiano erano già in piedi al 70%. Un po' quello che sta succedendo per la scuola dedicata alla giornalista del Corriere Maria Grazia Cutuli sempre ad Herat.
«Il nostro punto di forza - sostiene Aresu - sta nella contrattazione e nella capacità di seguire i cantieri. Noi paghiamo una scuola di 8 classi 120 mila euro, in altre province afghane si arriva a contratti di 250mila così quando i costruttori arrivano ad incassare un margine di guadagno accettabile, al 60% dei lavori non hanno più interesse a finirlo».
Dal modello Italia Petraeus ha preso anche l'idea della selezione delle ditte di appalto. «Noi da 5 anni - spiega Aresu - abbiamo un registro delle imprese con relativa lista nera: chi sgarra non lavora più per noi». Esattamente quel che suggerisce Petraeus. «Il problema di spendere meglio è cruciale - sostiene il sociologo Pino Arlacchi, relatore di una "nuova strategia per l'Afghanistan" per la Commissione Affari Esteri del Parlamento europeo -. Siamo abituati a accusare gli afghani di corruzione, ma la loro responsabilità non supera il 7-8% del totale. Di 30 miliardi di euro destinati all'Afghanistan dall'assistenza internazionale fino al 2009 circa il 70-80% non è mai arrivata alla popolazione afghana ed è invece tornata in varie forme ai Paesi che li avevano stanziati. Senza ruberie per costruire tutte le 6mila scuole che mancano all'Afghanistan potrebbero bastare 700 milioni di euro, più o meno una settimana di spese per la guerra».