Corriere del Mezzogiorno, 1 feb. 2011
L'intervista di Felice Blasi
Pino Arlacchi è stato fino al 2009 delegato per i rapporti internazionali della Libera Università del Mediterraneo (LUM) di Casamassima. In questa veste, nel 2006, promosse il conferimento della laurea honoris causa in economia da parte della LUM a Mohamed El Baradei, premio Nobel per la pace nel 2005.
Quando ha parlato con El Baradei l’ultima volta?
«Circa tre mesi fa, ci sentiamo ad intervalli regolari, ed era molto preso dalla situazione in Egitto. Invece di fare il pensionato di lusso tenendo conferenze nel mondo, aveva deciso di tornare come un combattente nel suo paese».
Cosa le disse del contesto politico egiziano?
«Mi disse che Mubarak sembrava molto forte ma che in realtà era debole. Aveva un apparato di sicurezza e una potenza economica molto grandi alle spalle, ma il paese era a pezzi, povero e demoralizzato. Ero stato anch’io in Egitto poco tempo prima e condivisi la sua valutazione. El Baradei aveva individuato molto bene la bolla giovanile, chiamiamola così, di una generazione senza lavoro e prospettive che prima o poi sarebbe scoppiata».
Le sembrò che prevedesse l’esito di questi giorni?
«Mi disse qualcosa di cui i giornali occidentali non parlavano, che cioè in Egitto c’erano già ribellioni e rivolte. Gli obiettai che dall’esterno il paese sembrava calmo, ma mi spiegò che non lo era affatto, perché c’era un disagio che esplodeva in proteste ovunque, nonostante la polizia e gli apparati di sicurezza. La sua valutazione era che si sarebbe arrivati ad una crisi finale ed aveva le basi per affermarlo».
Quindi ciò che sta accadendo è la conclusione di un processo più lungo?
«Ne era certo già allora. Mi confidò che aveva anche dei problemi con l’establishment politico egiziano, perché il governo aveva fiutato il pericolo rappresentato dal suo ruolo, pur non potendo arrestarlo né limitarlo nei movimenti, poiché il premio Nobel aveva dato un prestigio enorme al paese».
Com’è El Baradei sul piano personale?
«È un uomo di grandissima umanità. A Bari, per la cerimonia della laurea, cenammo in un ristorante il cui capocameriere era egiziano. Tra i due ci fu un momento commovente, si presero la mano, e constatai quanto questo cameriere vedesse in lui la possibilità di riscatto del suo paese».
Come sa, molti analisti occidentali vedono invece in El Baradei il pericolo che attorno a lui possano crearsi coalizioni fondamentaliste. Che ne pensa?
«Questa è la grande balla, la grande paura, agitata da tutta la destra internazionale, e da Mubarak in persona. Prima di tutto questi movimenti non hanno questa forza. Il massimo consenso raggiunto dai Fratelli musulmani è stato nel 2005 quando hanno preso il 20% dei voti, solo perché rappresentavano l’unica opposizione. Col ritorno di libere elezioni democratiche i Fratelli musulmani non avranno consensi molto estesi. Inoltre questi movimenti hanno avuto un’evoluzione verso la legalità, dissociandosi dal terrorismo».
Come si spiegano allora gli attentati anticristiani dell’ultimo periodo?
«Sia i Fratelli musulmani, sia il terrorismo fondamentalista islamico, sono il prodotto delle autocrazie arabe. Quando non ci saranno più, questi gruppi scompariranno o dovranno competere con partiti laici e moderati molto più forti di loro. Il 95% della popolazione musulmana è gente che vuole vivere tranquilla, che non ha nessuna simpatia per i fondamentalisti, e che se fosse libera di esprimersi porterebbe a risultati perfettamente compatibili con la democrazia e la non violenza».