Arlacchi: nel '92 si poteva vincere, abbiamo sprecato un'occasione

E-mail Print PDF

La Stampa, 27 lug. 2009

"Più di una trattativa tra Stato e mafia"
di Francesco La Licata

«Vedo un pericolo, in questa overdose di servizi più o meno deviati, di trattative, di improvvise loquacità di uomini come Riina, di papelli sparsi in giro più per confondere che per fare chiarezza». Il prof. Pino Arlacchi, eurodeputato dell'Idv e studioso dei fenomeni críminali, può essere considerato un testimone d'eccezione di quel momento della storia d'Italia improvvisamente tornata alla ribalta.

Era in stretto contatto con Falcone e Borsellino, era il più vicino collaboratore del ministro dell'interno Vincenzo Scotti ed era uno dei punti di riferimento - l'altro era Gianni De Gennaro - della Direzione Investigativa Antimafia, la polizia che Falcone pensava come braccio operative della Direzione Nazionale Antimafia (la famosa "Superprocura"), entrambe ideate per la battaglia frontale contro Cosa Nostra all'inizio degli Anni Novanta.

Professore, quale sarebbe il pericolo di cui parla?

«Che prevalga l'idea sbagliata, fortemente perseguita dalla mafia, che non c'è mai stata nessuna genuina opposizione a Cosa Nostra e nessuna possibilità di vittoria. Io dico il contrario, dico che in quegli anni, specialmente a ridosso della strage di Capaci e fino al '94 noi abbiamo avuto la possibilità di farla finita con la mafia. Purtroppo quell'occasione l'abbiamo persa, ma le condizioni per vincere c'erano, anche dopo Capaci e via D'Amelio. Perché l'apparato di contrasto era molto più forte di quelle frange marginali dello Stato che remavano contro, facevano trattative e papelli.»

Sta dicendo che erano di dominio pubblico gli ammiccamenti con la mafia e gli inciuci?

«Oddio, non so quanto fosse condivisa la conoscenza di certe anomalie. Io posso dire che ne parlavamo con Falcone e Borsellino che incontravo regolarmente ogni settimana. Ma non era questa la nostra preoccupazione principale: i contatti tra investigatori particolarmente audaci e boss della mafia sono sempre esistiti e sono esistiti patti ed accordi. Il famoso giorno dell'insediamento del ministro Mancino, il primo luglio del '92, il giorno in cui si sarebbe incontrato con Borsellino, Paolo venne a trovarmi e parlammo. Eppure non erano i servizi deviati il suo maggiore cruccio, era lacerato dal dubbio se dovesse accettare o no l'invito a fare il Procuratore nazionale. A frenarlo c'era il problema della figlia che soffriva molto per l'eccessiva esposizione del padre».

Professor Arlacchi sembra che lei non dia alcuna importanza all'esistenza di una trattativa fra Stato e mafia.

«Dico semplicemente che non bisogna fare confusione, perché trattative fra Stato e mafia ce ne sono sempre state. In quegli anni cruciali ce n'erano in piedi più d'una, addirittura tre o quattro ed erano intrattenute da centri marginali dello Stato. Marginali non vuol dire ininfluenti: era gente che stava nei servizi, nei Ros e negli apparati investigativi d'eccellenza. Perché trattavano? Un po' per cercare pentiti, molto per arginare i successi della polizia molto ben organizzata da Parisi e da De Gennaro. Perché è bene che si sappia: il cancro della lotta alla mafia è sempre stata la concorrenza, le gelosia tra apparati dello Stato».

Ma il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, non bastava a fermare le spinte, diciamo, antagoniste?

«Lui era l'elemento di equilibrio, per cultura e per matrice, essendo un uomo di intelligence più che ma poliziotto. Ovviamente sapeva cosa si muoveva attorno all'attività antimafia, ma riusciva sempre a blandire, ad addomesticare, calmare e, in sostanza, a controllare queste frange che remavano contro e cercavano successi in qualunque modo, anche i più disdicevoli».

Ha detto una brutta parola.

«La spaccatura era fra chi aveva scelto la strada maestra, diretta e trasparente, quella dei pentiti sottoposti al vaglio della magistratura, e chi continuava col vecchio metodo dei confidenti e del rapporto fiduciario e incontrollato con le fonti allargatosi parecchio dopo lo sforzo, anche economico, profuso dallo Stato. Questa situazione era ben chiara a tutti: sapevamo che in quel guazzabuglio c'erano fior di delinquenti, capaci anche di uccidere, e sapevamo pure che avevano alle spalle coperture politiche di alto livello che, tuttavia, in quegli anni cominciavano ad essere perdenti. Chi remava contro, in sostanza, lo faceva con la benedizione di un groppo politico che cercava di mantenere lo status quo e fermare l'emorragia di consensi che cominciava ad essere pesante, specialmente in concomitanza con le inchieste sulla corruzione».

Ha qualche idea circa l'identità di questi politici?

«Non è un discorso che può esaurirsi in una intervista. Le posso dire che quegli apparati infedeli tentarono il colpo grosso, nel 1989, con la bomba all'Addaura contro Giovanni Falcone. Gli andò male, ci riprovarono con successo tre anni dopo a Capaci. Il giorno dell'Addaura andai da Falcone e gli chiesi: "Chi è stato?" Giovanni mi ripose con la sua solita ironia: "Ti potrà sembrare letterario e retorico, ma è stata proprio la prima persona che mi ha telefonato per darmi la solidarietà e ti dico che nel ricevere quella telefonata mi è sceso un brivido luogo la schiena". Ovviamente è inutile che mi chieda il nome del portatore di solidarietà».

Addaura e via D'Amelio, unico filo?

«Poi arriva le sentenza definitiva della Cassazione sul maxi processo, conseguenza anche della buona politica di Scotti, Martelli e Mancino, e scatta la controffensiva: ammazzano Lima, Ignazio Salvo, Falcone e Borsellino. Ma attenzione neppure la controffensiva a vasto raggio ha funzionato perché la mafia è stata messa all'angolo, con la cattura dei latitanti, col carcere duro e coi processi di mafia e politica che certificano il cambiamento di clima rispetto a Cosa nostra».

E le stragi nel Continente del '93?

«Fu il proseguimento coerente di quel disegno e proprio le cosiddette trattative, i contatti anomali aprirono la strada all'eversione mafiosa, ancora una volta protetta da false analisi e depistaggi come quello - sostenuto da Sismi e Sisde - che, nell'immediatezza degli attentati di Roma, Firenze e Milano, invitavano a indagare sulla criminalità colombiana, balcanica o sul terrorismo internazionale. Solo la Dia indicò la pista inconfondibile dei terrorismo mafioso».

A che punto è il disegno?

«La strategia è cambiata con l'inabissamento di Cosa nostra. Tutto il potenziale antimafia di Falcone e Borsellino è rimasto in piedi, ma svuotato dal di dentro: il pentitismo disincentivato, le leggi più permissive, insomma la normalizzazione. Se dovessi usare una immagine, direi che la pax mafiosa si è concretizzata in un doppio passo indietro. Cosa nostra non ha più ucciso e lo Stato ha rinunciato all'occasione propizia per liberarsi per sempre della mafia».

 
ItalianEnglish

Mi Presento

Benvenuti nel mio sito. Qui potete farvi un’idea di chi sono, e trovare notizie e documenti sulle mie opere e sui miei giorni.

Pino ArlacchiNon sono una persona complicata. La mia vita pubblica ruota intorno a due cose: il tentativo di capire ciò che mi circonda, da sociologo, e il tentativo di costruire un mondo più decente, da intellettuale e militante politico.

Leggi tutto...

I Padroni della Finanza Mondiale

I Padroni della Finanza Mondiale (copertina)
Libri in pdf

Agenda

 


 

 


Facebook

Ultimi Tweet

Segui Pino Arlacchi su YouTube

Featured Articles

Prev Next

L'Eredità di Giovanni Falcone ed i rischi del presente

L'Antidiplomatico 23 Maggio 2020   “Potrei fare a meno di tanti colleghi, ma non potrei mfare a meno di Pino Arlacchi” Giovanni Falcone Il...

Articoli | 23 May 2020

Ora attenti a questa Finanza predatoria

Il Fatto Quotidiano 21 Maggio 2020 Lo scenario di queste settimane richiama per certi versi quello del “golpe dello spread” che...

Articoli | 21 May 2020

"Dietro l'aggressione imperiale contro il Venezuela c'è un racket mafioso

L'Antidiplomatico 12 Maggio 2020 L’ ultima aggressione al Venezuela, la sesta in due anni, è appena fallita. Gli Stati Uniti hanno...

Articoli | 13 May 2020

Gli Stati Uniti dal governo mondiale alla protezione mafiosa

La Fionda, 7 Maggio 2020 In questi tempi arroventati, si cercano i precedenti della crisi attuale e si discute molto, perciò,...

Articoli | 10 May 2020

Conte difende il nostro paese dai figli di Troika

Il Fatto Quotidiano, 7 Maggio 2020 In questi tempi di fuoco, l’unico uomo di governo che pare aver capito qual è...

Articoli | 10 May 2020

Pino Arlacchi all'Antidiplomatico: "Un Piano B prima che la finanza predatoria colpisca l'Italia"

L'Antidiplomatico, 25 Aprile 2020 Professore, come commenta l’ accordo del Consiglio Europeo dell’ altro ieri che ratifica le conclusioni dell’ Eurogruppo...

Articoli | 10 May 2020

Pino Arlacchi - Il nuovo ordine mondiale (che non ci sarà)

L'Antidiplomatico, 24 Aprile 2020 Circola una retorica sensazionalista che vede la sindrome del Coronavirus come una svolta radicale della storia moderna:...

Articoli | 10 May 2020

L’anomalia italiana è la Lombardia

Il Fatto Quotidiano, 9 Aprile 2020 L’anomalia dell’alto numero di decessi italiani per coronavirus rispetto a quelli del resto del mondo...

Articoli | 10 May 2020

Arlacchi: «A Miami i soldi della corruzione venezuelana"

Arlacchi: «A Miami i soldi della corruzione venezuelana

Il Periodista, 1 Aprile 2020 di Ruggero Tantulli. Il Periodista ha chiesto a Pino Arlacchi, ex vicesegretario dell'Onu e architetto della...

Articoli | 10 May 2020

Cina e Stati Uniti: la grande sfida alla pandemia mondiale

Il Fatto Quotidiano, 30 Marzo 2020 Pechino ha preso il problema per le corna, scegliendo la guerra al Covid. Una decisione...

Articoli | 10 May 2020

Newsletter


Chi è Online

We have 132 guests online

Questo sito utilizza cookie; accedendo o cliccando su "Accetto" acconsenti a scaricare sul tuo browser tutte le tipologie di cookie presenti in questo sito..

Accetto cookie da questo sito.

Info