Non bisogna ascoltare i costruttori di paure che agitano lo spettro del fondamentalismo islamico. In piazza ci sono forze laiche e spontanee.
l'Unità, 1 feb. 2011
L'analisi di Pino Arlacchi
È un vento di libertà quello che soffia dal Nordafrica, e chi tiene alla democrazia deve essere all’altezza del messaggio che ci arriva da quei luoghi. Anche perché c’è chi semina dubbi e paure. Profeti di sventura e conservatori alimentano confusioni di ogni risma (vedi i fondi di Sartori e soci sul Corriere della Sera) sugli esiti della rivoluzione democratica in corso in Egitto e nel mondo arabo. Ma chi conosce quei contesti e crede nello sviluppo umano non può che gioire per quanto sta accadendo.
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In campo una generazione istruita che vive nelle aree urbane. Non ha nulla da perdere perché è povera e senza futuro.
l'Unità, 30 gen. 2011
L'analisi di Pino Arlacchi
La prima cosa da tener presente sui movimenti di protesta che stanno scuotendo il mondo arabo è che non sono una passeggera turbolenza ma riflettono sconvolgimenti profondi. I cittadini contestano tirannie che li hanno maltrattati per decenni, ed hanno maturato su di esse un giudizio definitivo: se ne devono andare. Le ribellioni di questi giorni in Egitto, Tunisia ed altrove, d´altra parte, sono il seguito di manifestazioni dello stesso tenore che avvengono da anni senza che i media occidentali si siano degnati di occuparsene, e dureranno ancora, al di là degli alti e bassi, nel prossimo futuro.
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Un giovane disoccupato di Milano e un giovane tunisino hanno molti punti in comune. Entrambi conoscono le cause del loro malessere. E sanno che il futuro dipende dalla qualità dei loro governi.
l'Unità, 26 gen. 2010
di Pino Arlacchi
Non sono pochi gli inganni messi a nudo dalla rivoluzione dei gelsomini in Tunisia. I giovani dimostranti non hanno solo rovesciato una delle tante autocrazie corrotte del mondo arabo. Hanno anche finito di distruggere il mantra neocon sulla necessità di esportare la democrazia fuori dall’Occidente.
Non c’è alcun bisogno di esportarla, la democrazia. L’Occidente non ne ha il monopolio. La democrazia è un bene universale, di cui possono farsi carico tutte le società civili del pianeta, se messe in condizione di esprimersi.
Sono solo l’ignoranza e il pregiudizio di molti commentatori che li portano a sorprendersi oggi di fronte alla sollevazione filodemocratica di masse arabe, africane e islamiche ritenute finora poco sensibili ai valori dell’autogoverno.
Non c’è molto di cui sorprendersi, in verità. La globalizzazione ha scavato sotto la superficie, livellando il terreno di gioco, diffondendo aspirazioni, sentimenti e malesseri dello stesso tenore in ogni angolo del pianeta. Al di sopra e al di là delle differenze di nazione, etnia e religione.
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(ANSA) - Napoli, 24 gen. 2010
''Ho sempre pensato che Andrea Cozzolino rappresentasse una risorsa nuova e forte per il futuro della citta' di Napoli e non avevo dubbi su una sua buona affermazione, suffragata peraltro da una larghissima partecipazione''. Lo afferma l'eurodeputato del Pd, Pino Arlacchi, commentando i risultati delle primarie di Napoli.
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Messico-Calabria, prove di alleanza. Nel mirino anche Russia e Asia.
Avvenire, 19 gen. 2010
di Lucia Capuzzi
Con quattro milioni di nuovi consumatori soltanto nell'ultimo anno, il Vecchio Continente è un mercato molto interessante, proprio nel momento in cui la penetrazione negli Usa si fa sempre più complicata.
Ancora si tratta di 'esami preliminari'. Piccoli test per sondare il terreno, calcolare i rischi e le possibilità di evitarli. A breve, però, si potrebbe passare alle prove generali. E quindi al debutto dei narcos messicani – riuniti nei cosiddetti cartelli – in Europa. Quest’ultima rappresenta un mercato 'interessante' per i trafficanti centroamericani. Con quattro nuovi milioni di consumatori nell’ultimo anno, di cui un terzo giovani tra i 15 e i 34 anni, il Vecchio Continente offre loro buoni margini di guadagno. Una prospettiva ancor più allettante ora che la penetrazione nella 'piazza' statunitense s’è fatta più difficile. Per due ragioni. Primo, la concorrenza tra i diversi cartelli – undici organizzazioni – è spietata: tutti vogliono accaparrarsi 'la linea', il redditizio corridoio nella frontiera Usa attraverso cui filtra la droga. Il confine, però – e questa è la secondo motivazione dell’attenzione per il territorio europeo – è sempre più blindato. Le autorità di Washington, terrorizzate all’idea che la violenza narco si estenda a Nord del Rio Bravo, hanno schierato lungo i tremila chilometri tra i due Stati ben 30mila agenti. In media, 10 funzionari per chilometro quadrato. Non che questi siano riusciti ad arginare il traffico. Il Nordamerica resta il 'business' principale per i narcos. Che esplorano, però, giri d’affari integrativi, non alternativi.
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«Ambigue le affermazioni di La Russa su 'controllo territorio'»
(ANSA) - Roma, 18 gen. 2010 - ''L'ultima vittima italiana in Afghanistan ripropone il problema dell'azione delle nostre truppe in quel paese. Siamo certi che il nostro contingente stia rispettando il mandato assegnatogli dal Parlamento? Non dimentichiamo che questo mandato è molto diverso da quello assegnato ai militari inglesi e americani''. Lo dichiara in una nota Pino Arlacchi, eurodeputato Pd e Relatore per il Parlamento europeo sulla Nuova Strategia dell'Ue in Afghanistan.
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Non esiste soluzione militare al disastro. Per questo bisogna riformare l'aiuto internazionale. Questa è l'idea dell'Europa: tagliare spese e consulenze. E rafforzare le misure anti-corruzione.
l'Unità, 16 gen. 2010
L'Analisi di Pino Arlacchi
Poche settimane fa, il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza il mio rapporto su “Una nuova strategia dell’Unione europea per l’Afghanistan”. Dopo un anno di lavoro, il team che ho guidato ha raggiunto una conclusione molto netta: l’approccio seguito finora dagli USA e dalla NATO per sconfiggere l’ insurgency e ricostruire il paese è sbagliato. Sicurezza e condizioni di vita dei cittadini afghani continuano a deteriorarsi. La coalizione viene sempre più percepita come una forza di occupazione. È tempo perciò che l’Europa prenda l’iniziativa ed imbocchi una strada completamente diversa.
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What the EU has done and what it should do
Thenewfederalist.eu, 14 gen. 2010
di Alessio Pisanò
What is the EU doing in Afghanistan? Nothing, according to some US cables revealed by Wikileaks. “2010 is the last chance we give to Afghanistan. No one believes in it any more”, said Mr Herman Van Rompuy over a coffee with an US ambassador in Brussels. Without any doubt this is a remarkable kick to diplomacy and politically correct. Either way Mr Van Rompuy expressed in few words what Europeans have been wondering about for months: what is the EU doing in Afghanistan? And some could even wonder why the EU accepted to go over there.
This question must be asked after the MEPs’ vote on Mr Arlacchi’s Report on Afghanistan hold in Strasbourg. The Chamber has backed with a great majority the report proposal to rethink the whole strategy in Afghanistan. As Mr Van Rompuy highlighted, the whole ’pacific’ mission has not led to the expected success. After billions of Euros spent and hundreds of lives lost, the pacification of the country is still far to be gained. MEPs agreed on acknowledging that the military intervention is Afghanistan has failed and security is completely at stake. Currently some 150,000 soldiers are in the country, and almost 32,000 come from European Member States who agreed to contribute to the mission after the 9/11 terrorist attack to the twin towers in New York. Today, after 9 years the authors of the attack are still unknown and the security in Afghanistan is precarious.
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l'Unità, 3 gen. 2010
L'Editoriale di Pino Arlacchi
Un problema di estradizione si può affrontare in molti modi, ma la strada scelta dal governo italiano sul caso Battisti è, tra tutte, quella che porta alla sconfitta più sicura. La strada demagogico-nazionalista, l’alzare la voce lanciando minacce poco credibili e messaggi offensivi a un governo, a un popolo e a un Paese tra i più amici come il Brasile non porta da nessuna parte.
Se avesse voluto davvero ottenere il rimpatrio del signor Battisti, senza aspettare l’ultimo minuto e l’esplosione del caso sui giornali, il nostro governo avrebbe dovuto fare tre cose: a) dare per tempo le opportune istruzioni alle macchine diplomatiche e giuridiche; b) ascoltare con attenzione e rispetto il punto di vista del governo brasiliano; c) sulla base di quel punto di vista, attivarsi per correggere sia la strategia tecnico-diplomatica sia la comunicazione.
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La guerra tra civiltà è una categoria che nasconde conflitti originati da altro. Dal risentimento per le tante vittime civili a Baghdad al controllo del petrolio altrove. Ma la stampa fa finta di no.
l'Unità, 31 dic. 2010
di Pino Arlacchi
La persecuzione anticristiana in corso in Iraq è inspiegabile se non si tiene conto del trauma della guerra del 2003. Molti osservatori rilevano con sorpresa come lo scontro religioso fosse del tutto sconosciuto in Iraq prima dell’ invasione anglo-americana. Cristiani e musulmani professavano liberamente la propria religione, nel solco di una millenaria tradizione mediorientale, all’ interno di uno stato autoritario ma laico, dove un cristiano militante come Tarek Aziz poteva raggiungere i vertici del potere pubblico senza che si prestasse alcuna attenzione alla sua fede.
È stato il terribile shock dell’ occupazione militare che ha letteralmente scassato la società irachena, scatenando una specie di lotta di tutti contro tutti: odi e tensioni irriducibili non solo tra cristiani e musulmani, ma tra sciiti e sunniti, e tra questi ed altre minoranze.
La religione in se stessa non c’entra nulla con le animosità attuali. Se non si tiene conto dell’ immenso risentimento provocato dai bombardamenti e dalle distruzioni belliche condotte in Irak da potenze occidentali e cristiane che hanno fatto a pezzi il paese e lasciato sul terreno 660mila vittime civili, non si capisce nulla di ciò che accade adesso.
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