l'Unità, 1 dic. 2010
L'Analisi di Pino Arlacchi
L’impatto politico di Wikileaks c’è, ma non sta nel gossip diplomatico sulle magagne e sui tic dei potenti. I rapporti tra gli Stati Uniti e l’ONU, per esempio, saranno influenzati negativamente dalla conferma dello spionaggio sistematico effettuato per ordine della signora Clinton contro i dirigenti dell’organizzazione. Spionaggio anomalo, perché fatto non solo dai professionisti ma anche dai diplomatici USA accreditati presso il Palazzo di Vetro, e richiesti di rilevare dati biometrici, numeri di carte di credito e di conti bancari, e quant’altro possa essere utile per ricattare, imbarazzare, minacciare chiunque voglia deviare dalle linee tracciate dal Grande Fratello.
È una vecchia storia, che si sperava fosse morta, e invece è lì, mantenuta in vita dall’ amministrazione Obama. Chi scrive è stato una vittima delle attenzioni dell’intelligence anglo-americano, come del resto Kofi Annan e vari altri esponenti di vertice non disposti ad allinearsi sempre e comunque alle politiche USA.
Molti avevano pensato che i tempi nei quali un neocon tra i più arroganti, Paul Wolfowitz, osava ordinare alla CIA un’indagine illegale contro Hans Blix e Mohammad ElBaradei – gli ispettori ONU sulle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein che si sono rifiutati di mettersi al servizio dei piani di invasione dell’Iraq – fossero finiti.
E dobbiamo ringraziare Wikileaks per avere di nuovo sollevato il coperchio di un andazzo intollerabile.
I documenti di Wikileaks confermano i cospicui finanziamenti ricevuti negli ultimi anni dai Talebani e da altri gruppi fondamentalisti da parte dei paesi della penisola arabica alleati degli USA. Il peso politico di questo fatto è molto grande. Esso toglie plausibilità alla motivazione principale dell’invasione e dell’occupazione militare dell’Afghanistan.
Il governo americano ha attaccato l’Afghanistan con la motivazione ufficiale della lotta al terrorismo di Al Qaeda e dei soci Talebani pur essendo al corrente che il loro maggior canale di finanziamento era esterno al paese. Ed ha continuato imperterrito la guerra anche dopo il dislocamento dei gruppi di Al Qaeda in Pakistan, senza intervenire sulle fonti saudite e simili di finanziamento. Non è difficile allora concludere che la spinta ad invadere l’Afghanistan è nata più dalla necessità del complesso militare-industriale USA di fare la guerra a un paese debole che dalla genuina volontà di combattere autori e complici dell’11 settembre. Quindici su diciannove dei quali – come si è presto scoperto- non erano talebani né afghani ma sauditi.
È vero che i materiali Wikileaks sono opera per la maggior parte di diplomatici di rango medio basso che si soffermano talvolta su pettegolezzi e fatti di scarsa rilevanza politica. Ma dai giudizi sui paesi amici traspare comunque una visione negativa e paranoide del mondo, tipica di un impero in declino. Un impero che non crede più alla propria autorità morale, e che affida le sue chances quasi esclusivamente all’hard power: la forza militare, la minaccia, l’intimidazione e il ricatto dei suoi apparati della sicurezza contro tutti, amici inclusi.
Occorrerà un po’ di tempo per leggere bene tutti i documenti, e fare grazie ad essi la storia dell’ oggi senza aspettare i 25-30 anni di prammatica. Ma balza subito agli occhi da quanto già pubblicato la cecità del personale diplomatico americano verso le grandi forze della distensione e della pace. Tutto ciò che non è realpolitik, coercizione bruta, sembra non interessargli. Da qui la clamorosa incomprensione della svolta non aggressiva della politica estera della Turchia, la strategia dello “zero problems” con i vicini e dell’amicizia con le potenze asiatiche. Da qui l’errore di considerare l’Iran come un paese da attaccare, la Russia come un’entità ancora ostile, e l’Unione europea come un mazzo di smidollati. Senza rendersi conto che Cina, India, Brasile, UE e la stessa Russia si stanno affermando (o riaffermando) sulla scena globale proprio in virtù del fatto di non seguire la strada americana dell’ hard power.
È questo l’aspetto più preoccupante delle carte Wikileaks. La classe dirigente americana, di cui il personale diplomatico è espressione, ha perso la fiducia nella capacità di guidare il mondo attraverso la superiorità del suo progetto etico-politico. Questa gente crede ancora di rappresentare il governo mondiale, e non si è accorta che ormai quasi più nessuno gli riconosce questa prerogativa. Governo di cosa, quando l’unico strumento che sembra rimasto nelle loro mani è la delinquenza del loro intelligence e l’impronta del loro potere militare?
Queste carte, ed i sentimenti che le animano, significano veramente che siamo entrati nell’ epoca post-americana.