Bruxelles, 8 nov. 2011
Diversi colleghi mi hanno chiesto il perché del mio voto contrario al Rapporto sulla Criminalità Organizzata nell'Unione Europea. Ho pensato di rispondere con una lettera nella quale esplicito le mie motivazioni.
Cari Colleghi,
Alcuni di voi mi hanno chiesto di motivare il mio voto contrario al rapporto "sulla Criminalità organizzata nell'Unione Europea” recentemente approvato in seduta Plenaria. Mi é stato chiesto anche di spiegare il motivo per il quale non sono intervenuto nel processo di stesura di questo rapporto.
La mia risposta a quest’ultima domanda é molto semplice. Nessuno mi ha informato dell’esistenza di un rapporto su questo soggetto e per questa ragione non ho potuto esprimere un parere né dare un mio contributo.
Per quanto riguarda la domanda principale, mi preme sottolineare come questo rapporto costituisca una mancata opportunità del nostro Parlamento di dare il suo contributo alla lotta alla criminalità organizzata. Il testo infatti è un coacervo di dichiarazioni retoriche e di esortazioni demagogiche basate sull’erronea assunzione che l’Europa si trovi ad uno stadio zero nella lotta alla grande criminalità.
Dato che negli ultimi 25 anni ho contribuito a creare la legislazione italiana e internazionale nella lotta al crimine organizzato come studioso, parlamentare e Vicesegretario generale delle Nazioni Unite per i temi della sicurezza umana dal 1997 al 2002, la mia opinione su questi argomenti non può essere considerata un esercizio dilettantesco.
La relatrice dimostra un’ignoranza totale circa gli strumenti legali contro la criminalità organizzata già esistenti negli stati membri dell’Unione Europea.
Nel rapporto viene chiesto a Commissione e stati membri di introdurre misure già esistenti da anni nelle legislature nazionali. Mi riferisco alle normative sulla confisca dei beni di origine illecita, ai programmi di protezione dei testimoni e ai pool investigativi antimafia.
Tali disposizioni, nonché la definizione giuridica di criminalità organizzata, sono al centro della Convenzione di Palermo sulla criminalità organizzata transnazionale, firmata nel 2000 da 123 paesi, e ratificata (ad oggi) da 147 stati, compresi tutti i membri dell’UE.
Tutti i paesi che hanno ratificato la Convenzione di Palermo, nel momento in cui l'hanno adottata, hanno iniziato a disporre di uno strumento potentissimo. Per questa ragione una qualunque azione intrapresa dal Parlamento Europeo in questo campo avrebbe dovuto prendere le mosse da un attento esame dell’effettiva implementazione di questa Convenzione nei singoli paesi membri, oltre che a livello globale, piuttosto che dare la falsa impressione che il cosiddetto “standard italiano” nella lotta alla criminalità organizzata sia rimasto un esempio isolato.
Uno sconcertante errore della relazione è l’invito alla Commissione a promuovere uno studio su un qualcosa - la definizione legale di criminalità organizzata - intorno a cui si è raggiunto un accordo ben 11 anni fa, dopo quattro decenni di discussioni tra esperti e attori multilaterali. L’articolo 2 del Trattato infatti verte proprio su questo, e viene unanimemente considerato un capolavoro di precisione e profondità. L'approccio seguito dagli stati membri per raggiungere un accordo conclusivo su un argomento così complesso, è stato preso a modello per poter raggiungere un risultato analogo nella definizione del concetto di terrorismo.
Un'altra pecca sostanziale del rapporto è la manifesta superficialità nel trattare un tema fondamentale come quello dell’espansione di uno spazio giuridico unificato dell’UE per il contrasto alla criminalità organizzata.
L’approccio sbagliato di questo documento si rivela anche nelle sole quattro righe dedicate a quello che avrebbe dovuto essere il pilastro dell'impegno del Parlamento Europeo: la creazione di un ufficio del Procuratore europeo, con giurisdizione su tutta l'Unione.
In conclusione, stiamo iniziando a spendere tempo e denaro pubblico per istituire una commissione temporanea sul crimine organizzato priva di senso di obiettivi. Con i tempi che corrono possiamo davvero permetterci una cosa del genere?
Pino Arlacchi