L'Unità, 13 lug.2010
Il documento
di Umberto De Giovannangeli
Lo scandalo degli aiuti internazionali in Afghanistan. Dispersi in mille rivoli, spesso incontrollati, con il risultato che una percentuale compresa tra il 70 e l’80% dei 40 miliardi di assistenza internazionale ricevuti dall’Afghanistan tra il 2002 e il 2009, non ha mai raggiunto la popolazione afghana. La denuncia è contenuta nel rapporto «La nuova strategia dell’Unione europea per l’Afghanistan» curato da Pino Arlacchi, relatore in seno alla Commissione Affari esteri del Parlamento europeo, rapporto che sarà domani al centro della discussione alla Commissione parlamentare competente a Bruxelles. L’Unità ne anticipa un capitolo inquietante.
A marzo scorso, al ritorno dalla sua missione in Afghanistan (in cui ha incontrato le massime autorità afghane tra cui il presidente Hamid Karzai e i vertici Isaf Usa), Arlacchi ha denunciato il notevole grado di corruzione nella gestione degli aiuti internazionali. «Ci troviamo dinanzi a uno dei punti più dolenti per il rilancio del Paese», spiega Arlacchi. Durante i giorni trascorsi tra Kabul e Herat ho avuto modo di incontrare il ministro delle finanze afghano e di poter fare alcune valutazioni: tra il 2002 e il 2009 l’Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di assistenza internazionale. Di questi, solo 6 miliardi sono passati dal governo centrale del Paese. I rimanenti 34 sono stati veicolati dalle organizzazioni internazionali (Onu, Ong varie, Banca Mondiale, Banche regionali per lo sviluppo, ecc.). Una percentuale compresa tra il 70 e l’80% di queste somme non ha mai raggiunto la popolazione afghana. La maggior parte degli aiuti che i contribuenti e i donatori europei e americani intendono destinare a uno dei popoli più poveri del mondo si perde lungo la catena della distribuzione e ritorna sotto altre forme, lecite e illecite, ai centri da cui è partita. Senza parlare dei costi di intermediazione eccessivi e delle sovrafatturazioni. Poiché si è abituati a puntare l’indice sulla sola corruzione locale - la cui responsabilità nello scandalo non può superare il 7-8 per cento del volume totale degli aiuti - è bene avviare un’opera di refocusing mettendo nel mirino il modus operandi delle principali agenzie di assistenza umanitaria e di sviluppo del sistema internazionale: dagli uffici per la cooperazione e lo sviluppo dei Paesi Ue e degli Usa all’Undp, dall’Unops alla Banca Mondiale, fino alle grandi Ong che operano in Afghanistan. Un altro esempio illuminante: la costruzione di una scuola di due piani e 20 classi non costa, in Afghanistan, più di 100mila euro. Ho potuto constatarlo di persona - racconta l’ex vice segretario generale delle Nazioni Unite - verificando il lavoro svolto dalle forze Isaf e dalla cooperazione italiana. La stessa scuola, se costruita da qualcuna delle tante organizzazioni internazionali (comprese la USaid o altre organizzazioni dipendenti dall’Onu) costa una somma da tre e dieci volte maggiore. Tutte le seimila scuole che occorre ancora costruire nel Paese richiedono quindi uno stanziamento non superiore ai 600-700 milioni di euro di spesa effettiva. Se impiegati bene, senza ruberie e malversazioni, i fondi che servono a finanziare una settimana di guerra sarebbero sufficienti ad assicurare un futuro senza analfabetismo a tutti i bambini e i ragazzi del Paese. Lo spreco e la perdita dei fondi sono facilitati anche della mancanza di un centro di raccolta e di analisi delle cifre sui costi e sull’impatto dell’aiuto europeo all’Afghanistan, a differenza di quanto accade negli Usa: in questo caso, infatti, esistono vari documenti, inclusi quelli del Congressional Research Center, che documentano le spese militari e civili, e il loro effetto sulle operazioni belliche e sulla ricostruzione e lo sviluppo del Paese. Il Governo Usa ha anche istituito un Ispettorato Generale sulla ricostruzione dell’Afghanistan (Sigar) che inizia a fare ora ciò che bisognava fare 9 anni fa: misurare l’ impatto dei fondi stanziati per lo sviluppo del Paese, ricostruirne la mappa, prevenire e identificare gli abusi. Sulla scia di quanto stanno facendo gli Stati Uniti, credo sia necessario attuare forme di controllo più rigorose e un’indagine accurata sul miliardo di euro di aiuti civili che l’Unione Europea e i Paesi membri destinano ogni anno all’Afghanistan. Nessuna pace duratura è possibile in Afghanistan senza una sostanziale riduzione della povertà e una lungimirante politica di sviluppo sostenibile». In questo scenario - rimarca Arlacchi - è necessario che l’Unione Europea diventi da un lato protagonista del processo di ricostruzione del Paese e dall’altro sentinella inflessibile di legalità e trasparenza».