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Intelligence e Scienze Sociali

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Relazione del Professor Pino Arlacchi al Convegno "Intelligence e scienze sociali"

Università della Calabria, 26 set. 2009

Il rapporto tra intelligence e scienze sociali è sempre molto tormentato. C’è una sorta di competizione tra le due entità che scaturisce dalla convinzione che i servizi di sicurezza siano i depositari di informazioni che i normali cittadini non riescono ad avere mentre la storia ci dimostra che per le grandi cose, i grandi trend, non c'è esercito, polizia, né servizi di sicurezza che tengano. La loro individuazione è al di fuori della portata di questi ultimi. Mentre la scienza sociale applicata, quella delle università e dei centri di ricerca liberi da ogni vincolo, talvolta ci azzecca, come vedremo.

C'è un proverbio inglese secondo cui le previsioni più difficili sono quelle che riguardano il futuro. Ma è proprio questo, a parte l’ aspetto operativo, il compito più importante dell'intelligence.

Perché il sapere delle università, il pensiero umano libero di spaziare in ogni direzione senza preoccuparsi degli interessi che possono essere serviti dai propri approdi, va molto più lontano di ogni tipo d'intelligence variamente definito?

Un esempio è costituito da Kant, il filosofo moderno che più si è preoccupato dei conflitti umani. Con il suo volumetto su "La Pace perpetua" egli assume come tema principale di riflessione il problema della pace e della guerra ed enuncia tra l’altro gli articoli “preliminari”, cioè i fattori, le matrici, che favoriscono lo sviluppo della pace ed ostacolano lo scoppio delle guerre. Queste matrici sono la diffusione della democrazia, lo sviluppo dei rapporti economici tra gli stati e la crescita delle organizzazioni internazionali. Il volumetto kantiano è del 1799, ma solo da qualche decennio a questa parte nella scienza politica, soprattutto americana, si è iniziato a riflettere sull’idea che due democrazie non si fanno la guerra tra di loro, e più che lo sviluppo di rapporti commerciali tra gli stati, è lo sviluppo delle democrazie nel mondo il vero antidoto alla guerra e la ragione della diffusione della pace nel mondo.

Questa formulazione kantiana ha trovato una tale quantità di conferme nella ricerca empirica da essere diventata qualcosa di simile ad una legge nel campo delle scienze sociali.

Ma uno degli esempi più significativi di cui sono stato testimone diretto, ed uno dei ricordi più vivi che conservo della mia formazione di studioso, è localizzato proprio nell’Università della Calabria del 1974-75. Durante i suoi seminari, il mio maestro Giovanni Arrighi aveva perfettamente delineato – con 15 anni di anticipo – natura, svolgimento e cause del crollo dei regimi socialisti dell’Europa dell’Est. Non si è trattato di una semplice intuizione, una quasi profezia priva di articolazioni dettagliate. Secondo Arrighi i paesi socialisti sarebbero stati

a) spazzati via, distrutti dalla riattivazione delle forze di mercato dopo la crisi degli anni 70;
b) sarebbe seguito un grande rilancio del capitalismo globale che sarebbe durato 20-25 anni;
c) sarebbe poi arrivata una nuova crisi, ma questa volta dell’Occidente, ed a tutto vantaggio della Cina, che sarebbe emersa come nuova potenza mondiale a seguito del declino dell’ egemonia americana.

Eravamo a metà dei terribili anni 70. Per l’ Italia quelli erano gli anni di piombo, e per l’ Occidente era un’epoca di guerre civili, crisi economiche e disordini sociali. Nessuno pensava allora alla Cina come un’entità significativa della geo-politica globale e niente faceva pensare ad una crisi definitiva del sistema comunista.

La potenza dell’intelletto umano, quindi, se lasciato libero di spaziare in lungo e in largo, è capace di cose grandiose. La mente umana è in grado di dispiegare le sue potenzialità solo se è libera da condizionamenti e se non deve vivere nell’ angoscia circa l’uso dei suoi risultati.

Solo il settore privato ha adottato di recente la strategia di usare il pensiero “contrarian” per i suoi scopi, arruolando studiosi di orientamento critico o apertamente dissenziente dalle finalità dei committenti in un accordo di sfruttamento reciproco.

Pochi oggi ricordano, o sanno, che alcuni classici delle scienze sociali contemporanee come, Il Crisantemo e la spada di Ruth Benedict hanno origini militari. Essi nacquero sulla base della necessità di capire psicologia e comportamenti di popolazioni nemiche in tempo di guerra. E di agire in modo efficace per influenzarle nella direzione ritenuta “giusta”.

Nelle virgolette che abbiamo collocato all’aggettivo “giusto” sta il dilemma dei rapporti tra la scienza e il potere costituito. Dilemma che si è posto con drammatica intensità, nel campo delle scienze naturali con i membri del Manhattan Project”, cioè con il team di cervelli indipendenti che progettarono e costruirono la prima bomba atomica. E’ stato proprio l’esito del “Manhattan Project” e degli studi socio-antropologici sul Giappone a segnare il destino dei rapporti tra università e intelligence negli USA nel dopoguerra. Questi rapporti si sono consolidati nel campo delle scienze naturali, ma si sono ridotti al minimo in quello delle scienze sociali. La ragione sta nell’uso della bomba atomica contro Hiroshima e Nagasaki. Esso dimostrò l’immenso potere che la scienza apparentemente più astratta – quella sui fondamenti della materia - può porre nelle mani dei governi. Nello stesso tempo, però, l’intelligence parallela degli scienziati sociali sulla forza militare del Giappone nel 1945 dimostrava quanto inutile e crudele fosse l’uso di un’arma di annientamento totale contro un nemico già sconfitto.

I due esempi citati contengono i termini del problema delle relazioni tra università ed intelligence ufficiale. Innanzitutto, per affrontare i grandi temi della sicurezza occorre andare all’esterno delle agenzie di difesa. Per quanto ben forniti di risorse, l’esercito, la polizia ed i servizi di informazione non sono in grado di raggiungere quel livello di profondità analitica e di conseguenza capacità previsionale che è tipico invece della ricerca universitaria.

Quanto detto può servire a spiegare il difficile rapporto che esiste tra le scienze sociali e la politica, soprattutto negli Stati Uniti di oggi. Anche nel mondo accademico vi sono casi di previsioni non corrette, sbagliate, perché influenzate direttamente o indirettamente da interessi politici ed economici estranei alla ricerca pura. Di recente ho pubblicato un libro in cui, a seguito della mia esperienza alle Nazioni Unite, ho cercato di analizzare la sicurezza globale da un punto di vista indipendente da quello degli esperti di relazioni internazionali e dei politologi. Sono partito dal punto di osservazione del professore universitario puro, che riflette su fatti conosciuti personalmente.

Ho voluto riflettere su quali sono le ragioni della pace partendo dal fatto che vi è una vastissima letteratura sulla guerra, quasi tutta ad essa favorevole, sin dai tempi del filosofo presocratico che la considerava la madre di tutte le cose. Questa letteratura ha come suo centro l'Europa, e non a caso. Il nostro è stato il continente più sanguinoso del pianeta con oltre 200 conflitti gravi tra il 1400 e gli inizi dell'800. Ma io ho voluto considerare in modo sistematico le ragioni della pace, e sono arrivato a conclusioni opposte al catastrofismo di buona parte degli studiosi, sopratutto statunitensi.

C'è stato sicuramente un crollo dei grandi conflitti, sia internazionali che interni agli stati, ed una riduzione della violenza al minuto, quella della criminalità. La sicurezza umana ha perciò fatto passi da gigante, nonostante le previsioni negative degli studiosi. Avevo in mente di dare al libro il titolo “La forza della pace” proprio perché penso che essa sia più forte di qualsiasi altra cosa e che non è vero che la sicurezza vada peggiorando.

Per corroborare il mio punto di vista, ho inserito nel volume una serie di esempi di previsioni errate. Ne cito qui solo uno che riguarda l'Asia orientale. Intanto ribadisco che, a differenza di quanto sostenuto da molti, la fine della guerra fredda ha fatto diminuire verticalmente i conflitti. In particolare, la maggior parte degli studiosi aveva previsto dopo il 1989 una corsa mondiale agli armamenti e la guerra tra alcune delle maggiori potenze asiatiche.

E' uscito di recente un libro di Bill Emmott che prevede una guerra tra India, Giappone e Cina nel momento in cui proprio la Cina sta dimostrando di essere una grande potenza di pace. Così come altri avevano previsto il riarmo del Giappone, l'avventurismo militare della Cina in Asia, una guerra intorno allo stato di Taiwan, un attacco terroristico della Corea del Sud contro la Corea del nord. Tutte previsioni sballate, e smentite rigorosamente dai fatti.

Il ponte tra università ed intelligence è più necessario che mai in tempi di lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Argomenti sui quali la conoscenza razionale, la fredda analisi delle cose, rischia ogni giorno di essere sommersa dalle esigenze di propaganda politica o dalle semplificazioni ed esagerazioni dei media.

La “marcia in più” della ricerca disinteressata, in grado di cogliere verità magari sgradevoli nell’immediato ma suscettibili di tramutarsi in buone guide per il futuro, è indispensabile se si vuole garantire la sicurezza di tutti.

 

Pino Arlacchi, Arcavacata, Settembre 2009

 
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