Roma, 28 gen. 2015
di Pino Arlacchi
Non credo che le misure appena adottate dalla BCE avranno gli stessi effetti del Quantitative easing americano. Il contesto è radicalmente diverso. Negli USA del 208-12 si trattava di salvare un sistema finanziario sull’orlo del collasso con misure di emergenza anticicliche che evitassero il ripetersi dei disastri degli Anni 30. Dopo il fallimento di Lehman Brothers c’era il rischio dei crolli a catena per mancanza di liquidità e per l’ epidemia di sfiducia interna alle relazioni tra le banche.
Nell’ Europa di oggi non siamo di fronte a un pericolo di collasso delle principali banche, che appaiono invece solide e tranquille, imbottite di titoli del tesoro nazionali e di titoli BCE. Non si capisce perciò su cosa si fondi la speranza di riavviare gli investimenti quando il denaro è a costo quasi zero e senza porre vincoli al denaro che le banche prendono in prestito dalla BCE ed a quello che essa trasferisce acquistando titoli del debito sovrano.
Se il bazooka della BCE fosse stato rivolto a finanziare un grande piano macroeuropeo di investimenti – in infrastrutture, informatizzazione, istruzione, ricerca e innovazione – allora sarebbe stato realistico attendersi un risultato di stimolo alla domanda, alla produzione e all’ occupazione.
Sulla carta questo piano esiste già, ed è il cosiddetto Piano Junker, presentato dal Presidente della Commissione europea come il veicolo per uscire dall’ austerità. Ma il Piano Junker si è screditato da solo, perché concepito nei termini di una semi-truffa. A fronte dei 500 miliardi di euro ritenuti disponibili per finanziarlo, ce ne sono solo in realtà solo 20, e distribuiti per giunta in dieci anni.
I provvedimenti di Draghi, invece, non sono una truffa, perché si tratta di 1000 miliardi e più immessi nel sistema finanziario in solo due anni.
Perché tenere questi fondi da una parte e il Piano Junker dall’ altra?
C’è un largo consenso sul fatto che per rilanciare la crescita in Europa c’è bisogno di un rilancio della spesa pubblica. Senza di esso, i mille miliardi di euro stampati dalla BCE rischiano di creare una bolla speculativa su alcune attività invece di far ripartire occupazione e prezzi.
Perché questi due provvedimenti non sono stati unificati dentro un unico disegno di crescita? Non sono entrambi risorse dell’ Unione che dovrebbero stare al servizio dei suoi interessi, e di quelli dei suoi cittadini, che vogliono più crescita e più occupazione?
Perché non porre l’integrazione di queste due misure al centro di un salto di qualità della governance europea?
So che per fare questo ci vogliono riforme radicali dell’ architettura dell’Unione, ma se non le mettiamo sul tavolo ora queste riforme, sfruttando l’ opportunità della crisi, quando lo faremo?