Gli uomini del disonore
di Pino Arlacchi
Il Saggiatore, (Milano 2010)
Questo libro è nato da un incontro tra uomini divisi in tutto: nascita, formazione, valori. Da un lato Pino Arlacchi, uno dei massimi esperti mondiali del fenomeno mafia, dall’altro Antonino Calderone, mafioso di spicco della «famiglia» di Catania e poi grande pentito. In un rifugio messo a disposizione dalla polizia, Calderone ha deciso di ricordare. E raccontare.
Quando uscì nel 1992 "Gli uomini del disonore" ebbe un grande successo. Faceva conoscere le gerarchie di Cosa Nostra, le sue lotte intestine, le trame diaboliche dei suoi capi, la sua storia tormentata. La storia di un mondo in cui tutti sono nello stesso tempo amici e nemici di tutti, professano lealtà e sono pronti all’inganno più subdolo, progettano congiure e imboscate, tradiscono e uccidono senza rimorsi. Era la prima volta che la mafia veniva descritta dal suo interno, la prima volta che veniva descritta la vita quotidiana dell’uomo d’onore, le sue amicizie, gli odi, gli affetti di un’esistenza dominata dalla paura di essere uccisi e dalla necessità di ammazzare.
Il libro viene ripubblicato con una nuova postfazione di Pino Arlacchi. Lo studioso, tra gli artefici della legislazione antimafia italiana degli anni ottanta, autore del progetto esecutivo della Dia, ripercorre passo dopo passo la sfida a Cosa Nostra, condotta in prima persona insieme a Chinnici, Falcone e Borsellino: dal tempo degli omicidi di La Torre e Dalla Chiesa alle confessioni di Buscetta, dagli anni della strategia stragista a oggi. Oggi, che la mafia non è stata ancora sconfitta. Oggi, che la battaglia è ancora aperta.
Leggi la postfazione
Per i visitatori di questo sito pubblico la mia replica all'articolo apparso il 28 febbraio 2014 sul Fatto Quotidiano e la risposta di Marco Travaglio, anch'essa pubblicata a pagina 19.
Il Fatto Quotidiano, 1 mar. 2014
DIRITTO DI REPLICA
Gentile direttore, nel lungo articolo del 28 febbraio pubblicato sul Fatto Quotidiano, Marco Travaglio sostiene che il sottoscritto, nel 2009, ha avanzato una interpretazione condivisibile della cosiddetta trattativa Stato-mafia, per poi smentirla di recente. Voglio rassicurare i suoi lettori. Non ho affatto cambiato idea, come è facile constatare leggendo sul mio sito le numerose analisi e dichiarazioni che ho prodotto quasi senza interruzione sul tema dal 2009 a oggi. Negli Anni ‘92-‘93 non c’è stata alcuna trattativa tra i vertici dello Stato e Cosa nostra. Al contrario, quegli anni sono stati un’epoca di scontro frontale tra la mafia e i suoi alleati interni alle istituzioni (pezzi della politica e degli apparati della sicurezza), e la grande criminalità esterna a Cosa nostra da un lato, e il resto dello Stato dall’altro.
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Panorama, 24 feb. 2014
Intervista a Pino Arlacchi di Anna Germoni
«Il processo Stato-mafia si concluderà con il totale flop dell’inchiesta di Antonio Ingroia & soci. È una bufala su cui si sono costruite carriere immeritate: non c’è una sola prova seria a sostegno di questa allucinazione». A stroncare la madre di tutte le inchieste, quella che a Palermo ipotizza una trattativa per bloccare le stragi di mafia dopo il 1992-93, è Pino Arlacchi, tra i massimi esperti internazionali di criminalità organizzata. Nessuno può sospettarlo di ambiguità o cedimenti, la storia di Arlacchi parla per lui. Parlamentare europeo del Pd e in passato deputato del Pds, nonché vicepresidente dell’Antimafia e grande amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Arlacchi ha vissuto per 13 anni sotto scorta da quando, il 25 maggio 1994 nell’aula del tribunale di Reggio Calabria, Totò Riina lanciò un anatema contro «la combriccola dei comunisti» e fece i nomi dei suoi tre principali nemici: Luciano Violante, all’epoca presidente della commissione antimafia; Gian Carlo Caselli, che era procuratore capo di Palermo; e «quell’Arlacchi che scrive libri». Tommaso Buscetta, il primo grande pentito di mafia, disse subito: «Queste sono condanne di morte».
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l'Unità, 26 gen.2014
L'intervento di Pino Arlacchi
Imperversa sui media italiani una autentica telenovela sulle farneticazioni di un capomafia di 84 anni, carcerato da 21, che un tempo fu il capo di Cosa Nostra siciliana. Farneticazioni e “minacce” contro tutto e tutti: da Berlusconi ai PM, dai suoi ex sodali mafiosi al suo presunto successore alla guida di una mafia del tempo che fu.
La telenovela sta in piedi per vari motivi, ma non impressiona più nessuno perché la credibilità dello sfogo di Totò Riina è vicina allo zero. Per fortuna. E come tale viene ritenuta da chiunque conosca un po’ l’argomento.
Le parole di Riina non sono la punta di nessun icesberg. Non sono l’annuncio dell’Apocalisse, ma la confessione di impotenza di un vecchio delinquente, sconfitto dallo Stato e dalla vita, che finirà i suoi giorni solo e dimenticato come Luciano Liggio, Gaetano Badalamenti e il suo compare Bernardo Provenzano. Riina ha un figlio all’ergastolo. I suoi sodali, parenti, amici e protettori si sono dileguati. I mafiosi rimasti fuori dal carcere o latitanti lo ignorano e vanno per la loro strada da molto tempo. Ma di loro sappiamo poco perché lo stereotipo mediatico-giudiziario sulla mafia è fermo a 30 anni fa.
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(ANSA) - L'Aquila, 29 nov. 2013 - "Il colpo che Giovanni Falcone, insieme a Paolo Borsellino, ha inferto a Cosa Nostra è stato decisivo. La mafia terroristica, la mafia del sangue e della violenza è stata sconfitta. Purtroppo, però, sopravvive sotto forme più insidiose, ma ha dovuto rinunciare al suo progetto di sfida diretta allo Stato". Così Pino Arlacchi, sociologo, ex Vice Presidente della Commissione Antimafia ed ex Vice Segretario Generale ONU, all'Aquila al Convegno "Che cosa significa essere europeo? Giovanni Falcone e il contributo dell'Italia alla legalità internazionale".
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l'Unità, 10 novembre 2013
L'analisi di Pino Arlacchi
Un nuovo pentito ha dichiarato che nel 1992 Cosa Nostra aveva deciso di uccidere anche Claudio Martelli e Giulio Andreotti. Si tratta di una non notizia perché il fatto è noto non solo agli esperti, ma anche al largo pubblico. Ma c'è chi l'ha riciclata senza battere ciglio e sotto il titolo di "trattativa Stato-mafia".
È lo stesso pentito, invece, a dire che la trattativa non è mai esistita perché c'è stato qualcosa di molto più grave: la collusione costante e profonda tra un pezzo delle istituzioni e la mafia siciliana.
Gli anni della cosiddetta "trattativa" sono stati in realtà quelli dello scontro epocale, al calor bianco, tra la rete di protezione politica che aveva garantito impunità secolare a Cosa Nostra da un lato, e nuove forze della società civile e delle istituzioni della sicurezza emerse lungo gli anni 80, dall'altro.
La battaglia decisiva si è svolta nel biennio '92-'93, ma dentro di essa c'era anche una crudele resa dei conti tra Cosa Nostra e i suoi massimi protettori nella politica, nell'economia e nello Stato.
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affaritaliani.it, 24 ott. 2013
di Giuseppe Corsentino
I 50 secondi del video del CorriereTv sono implacabili e dicono molto della “leggerezza”, a voler essere gentili, con cui la politica italiana affronta un tema drammatico com’è quello della mafia e dell’antimafia. Nel video c’è il neopresidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, che farfuglia: “Bisogna stare uniti per combattere insieme la lotta alla mafia” (sic) “e bisogna stare vicini a tutti coloro che lavorano per la lotta alla mafia”. In 50 secondi una gaffe (ma la coriacea Bindi è una che si emoziona?) e una sciocchezza istituzionale. Perché la Commissione antimafia è nata, mezzo secolo fa, nel lontano 1962, non per “stare vicino” alla magistratura e agli organi di polizia, ma per fare altro – scoprire i collegamenti tra politica e sistemi criminali, per esempio – solo che oggi, Bindi o non Bindi, nessuno ne ha più consapevolezza e la commissione con i suoi 25 membri è diventata solo uno “spazio politico”, l’ennesimo luogo della spartizione come fa capire un illuminante twitter del senatore Gasparri del PdL che accusa il Pd di aver voluto fornire alla Bindi una “poltrona” (prestigiosa, si capisce).
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l'Unità, 29 mag. 2013
di Pino Arlacchi
Si è aperto a Palermo un processo inutile, basato su indizi deboli, prove e testimoni dubbi. Al suo centro c’è una cospirazione a tutto campo che non è mai esistita. Una vera trattativa tra i vertici dello Stato italiano e quelli di Cosa Nostra negli anni dal 1992 al 1994 non c’è mai stata. Per la semplice ragione che in quegli anni erano lo scontro e la complicità, e non il negoziato, a dominare i rapporti Stato-mafia, e per la ragione aggiuntiva che per la prima volta erano le forze della legalità che si avviavano a prevalere, forse definitivamente, sulla grande delinquenza organizzata. Lo scontro era esistenziale e senza margini di compromesso. Da un lato c’erano non solo la mafia, ma l’intera gamma dei poteri criminali italiani con le loro coperture nelle istituzioni. Tutti in allarme massimo. E dall’altro c’erano pezzi larghi dello Stato decisi a far prevalere la giustizia e la legalità senza sconti per nessuno.
Oscurare questi fatti e il loro contesto -l’Italia negli anni del crollo della Prima Repubblica, con l’ intera classe dirigente allo sbando sotto i colpi di Mani Pulite al Nord e dell’Antimafia al Sud – è irresponsabile. Ed altrettanto lo è l’elevazione di un episodio minore, quali i contatti privi di copertura politica tra alcuni carabinieri spregiudicati ed alcuni confidenti mafiosi, ad un negoziato complessivo tra i vertici dello Stato ed i Corleonesi per farli desistere dalla scelta stragista.
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(ANSA) - Catanzaro, 18 mag. 2013 - ''La richiesta della Procura di Palermo di ascoltare 178 testimoni nel processo sulla trattativa Stato-mafia, e' del tutto irragionevole e conferma la debolezza della sua inchiesta''. Lo sostiene, in una dichiarazione, l'europarlamentare del Pd Pino Arlacchi.
''Tramite il loro fronte mediatico - aggiunge - i pm palermitani annunciano l'intenzione di mettere sotto processo l'intero Stato italiano negli ultimi 40 anni''.
Secondo Arlacchi, ''i maggiori quotidiani italiani inoltre stanno proseguendo una deplorevole opera di disinformazione perche' omettono di rilevare l'improbabilita' che la Corte di Assise accolga la richiesta di un numero cosi' abnorme di testimoni''.
(ANSA) - Catanzaro, 30 gen. 2013- ''Hanno ragione Maria Falcone e Ilda Boccassini. Non se ne puo' piu' di questo uso elettoralistico di Falcone e Borsellino da parte di Ingroia''. Lo dichiara in una nota Pino Arlacchi, parlamentare europeo e studioso di mafia.
''Ho collaborato per 12 anni - aggiunge - con Giovanni Falcone, dal 1980 alla sua morte. Sono entrato in politica e in Parlamento due anni dopo Capaci. Sono andato all'Onu e sono poi rientrato quattro anni fa nella vita pubblica. Ho fatto percio' varie campagne elettorali, ma non ho mai usato la mia amicizia con Giovanni (e anche con Paolo Borsellino) per prendere voti. E' sempre stata una questione di stile, di pudore etico-politico e di rispetto per due figure che appartengono a tutti''.
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