Il Fatto Quotidiano, 7 Maggio 2020
In questi tempi di fuoco, l’unico uomo di governo che pare aver capito qual è la vera posta in gioco è Giuseppe Conte. I suoi riferimenti alla tragedia della Grecia, la sua opposizione all’indebitamento sconsiderato e il suo richiamo all’eventualità di “fare da soli” non lasciano dubbi al riguardo. La posta in gioco è la protezione dell’Italia da un possibile assalto da parte della finanza predatoria mondiale. Un attacco contro una potenza economica globale, molto più devastante di quello che ha appena lasciato la Grecia su una sedia a rotelle per i prossimi 50 anni.
Si parla della possibilità che le mafie nostrane si impadroniscano di imprese e commerci in difficoltà. Ma contro questo tipo di delinquenza disponiamo di strumenti che ci mettono in grado di giocare la partita. Il problema è che di fronte a una criminalità organizzata non codificata come tale, ma centinaia di volte più potente di Cosa Nostra, che colpisce l’Italia nel suo punto critico dell’indebitamento verso i mercati esteri, non c’è via di scampo se non si usa l’arma della sovranità monetaria. Quella propria o quella che si è delegata alla Bce. Il termine criminalità internazionale non viene qui usato in senso metaforico. Esiste da vari decenni un circolo di potere mondiale che agisce come un racket. Esso fa capo a un pugno di istituzioni finanziarie americane (conglomerati bancari, hedge fund, mega-fondi di investimento) con propaggini e alleati in Europa. Organismi strettamente associati alle agenzie di rating e in grado di guidare le mosse del Tesoro Usa e del Fondo monetario internazionale. Sono i “figli di Troika” che ispirano le politiche finanziarie dell’Unione europea e che spadroneggiano nei mercati finanziari occidentali: una ventina di affiliati, otto dei quali euroamericani, versati meglio di Cosa Nostra nell’arte e nella scienza del delinquere impunemente. La connection è formalmente legale. I giornali la chiamano “i mercati”, ma essa è in grado di accumulare profitti illegali che neppure la caverna di Ali Babà è in grado di contenere. In quanto a concentrazione assoluta di potere, la finanza predatoria sta alle mafie come i gattini domestici stanno alle tigri e ai leoni. Parlo delle banche d’affari e delle società finanziarie multinazionali dalle quali provengono o dove vanno a finire molti ministri delle Finanze, alti burocrati, commissari e presidenti delle istituzioni europee tramite una “porta girevole” poco conosciuta, ma di estrema pericolosità.
La mega-truffa alla Grecia ha infilato nelle fauci del racket varie centinaia di miliardi di euro. Ma il reale bersaglio è stata l’Unione europea, che ha finito col saldare il conto di un indebitamento di Atene portato alle stelle da prestiti avvelenati. L’Istat stima, esagerando, l’intero fatturato illecito italiano in 15 miliardi di euro all’anno. Ma la sola truffetta della vendita al Tesoro italiano di prodotti tossici da parte dei banksters ha fruttato 23 miliardi di euro. Per non parlare della spoliazione della ricchezza nazionale della Libia, dell’Irlanda e del Venezuela. Non credo nella Spectre. L’alta finanza funziona in modo più complesso. Ma ho sentito parlare del reato di associazione a delinquere. Non è difficile, allora, valutare il boccone che si profila se un’Italia non adeguatamente sostenuta dal fiat money della Bce e dalla tutela di un debito mutualizzato è costretta a fare da sola, imboccando la strada di uscita dall’Eurozona. Le due maggiori società di rating sono istituti privati e americani. I tentativi di creare agenzie pubbliche ed europee sono stati sventati dalla porta girevole citata. Un giochetto di squadra tra queste società pronte a declassare la vittima designata, più un assalto ai titoli italiani da parte del branco, e il tutto condito dalla falsa narrativa del default dell’Italia, può farci un bel po’ di male. Ma solo Conte pare aver mangiato la foglia.