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Anche la Merkel molla Guaidò

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La notizia della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Venezuela e Germania, e le sue rilevanti implicazioni politiche, è stata ignorata dai media dominanti. Su Il Fatto Quotidiano di oggi avete a disposizione questo mio commento al proposito.

 

(https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/07/04/anche-la-merkel-molla-guaido/5300155/?fbclid=IwAR2zaspQAjJcCY38-ZKXvUU69mXIILVUPSwcHPBoOv1907NtwaTfgtn5m2s)

 

Anche la Merkel molla Guaidò

di Pino Arlacchi | 4 luglio 2019

 

La decisione del governo tedesco di ristabilire normali relazioni diplomatiche con il Venezuela di Maduro disconoscendo Guaidó e ponendo fine, perlomeno dal lato europeo, all’operazione cambio di regime iniziata alla fine dell’anno scorso, è clamorosa ma non inaspettata.

Occorreva uscire dal cul de sac in cui la maggior parte dei Paesi europei, con la rilevante eccezione dell’Italia, si era cacciata seguendo gli Stati Uniti in uno sconsiderato atto di aggressione mascherato da ingerenza umanitaria.

Il gruppetto di “psicopatici” che circondano Trump aveva fatto balenare davanti ai suoi occhi un quick fix di politica estera: una raffica di sanzioni feroci contro il governo Maduro che, unite agli effetti del crollo del prezzo del petrolio e al blocco delle transazioni finanziarie di ogni genere del Venezuela con il resto del mondo, lo avrebbero fatto cadere come un frutto maturo. Il tutto con la complicità degli ex alleati europei e dei media internazionali assetati di dittatori da abbattere tramite una valanga di notizie false, distorte o esagerate sulla crisi umanitaria, la violazione dei diritti umani, l’esodo biblico della popolazione, il narcotraffico e la corruzione dei governanti. Secondo questo modo di vedere, il malgoverno di Maduro aveva spinto la maggioranza dei venezuelani nonché le forze armate verso una situazione pre-insurrezionale che aveva bisogno soltanto di un pretesto e di una guida per trasformarsi in una vasta ribellione popolare che avrebbe spazzato via la tirannia. Ed è qui che entra in scena il giovane Guaidó, un insignificante esponente dell’opposizione che si accredita agli americani come l’uomo in grado di abbattere la dittatura grazie al suo carisma, le sue entrature ai vertici militari e uno strabordante consenso popolare.

Si è visto com’è finita. Le masse dietro Guaidó non c’erano. I militari gli hanno fatto credere di seguirlo allo scopo di dimostrare l’imbecillità dei suoi istigatori e sua personale. Il governo non lo ha arrestato solo perché era più utile da libero. Trump si è scagliato contro gli strateghi che lo avevano messo in una situazione al limite del ridicolo, e gli europei sono sulla strada di aggiungersi ai 140 Stati su 192 membri dell’Onu che avevano di fatto disapprovato tutta l’operazione.

Che non è ancora terminata, perché gli americani usano perseverare nei propri errori, ma che ha finito col rafforzare il governo Maduro dimostrandone il forte radicamento popolare, cioè il fattore mancante nelle analisi dei grandi strateghi di Washington e nelle valutazioni dei governi europei che li hanno seguiti. Non era poi così difficile accorgersene, visto che anche i poveri, dopotutto, votano e da venti anni i chavisti prevalgono in regolari elezioni. Inclusa quella del “dittatore” Nicolas Maduro.

Perché vincono i chavisti e perché non sarà così facile sbarazzarsi di Maduro senza invadere il Venezuela, con la sola guerra ibrida?

Perché Chavez e i suoi, invece di depositare i profitti del petrolio nelle fauci delle banche di Miami come l’oligarchia compradora che li aveva preceduti, li hanno usati per costruire uno Stato sociale integrale a beneficio dei poveri, cioè la maggioranza della popolazione del Venezuela. Stato sociale pieno di difetti, di qualità non paragonabile agli esempi scandinavi. Ma un cittadino povero venezuelano non si aspetta di vivere come un cittadino svedese. Gli basta disporre gratuitamente, per la prima volta in un secolo, di tutti i servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione, alloggio, trasporti, energia, carburante, assistenza speciale per disabili, pensioni sociali, sussidi vari) più una dotazione alimentare regolare di beni alimentari che gli garantisca la sopravvivenza. Il Claps è il programma-chiave al riguardo, e distribuisce due volte al mese gli alimenti fondamentali più i prodotti igienici a 8 milioni di famiglie, pari a oltre 25 milioni di persone, il 75% della popolazione totale. Il tutto a un prezzo simbolico, e per una spesa che impegna una parte significativa del 75% del bilancio totale dello Stato destinato alla spesa sociale.

Si può formulare l’ardita ipotesi che esista una connessione tra questi dati e i risultati elettorali di Chavez-Maduro?

Certo, il Claps e gli altri programmi sociali sono pieni di difetti – corruzione, inefficienza, mercato nero, qualità dei servizi – ma lo standard cui paragonarli è quello vigente negli altri Stati dell’America Latina da un lato, e dall’altro è quello che potrebbe essere instaurato da un governo ritornato nelle mani dell’oligarchia e degli interessi petroliferi statunitensi.

 
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