Il Fatto Quotidiano, 20 Febbraio 2020
Le previsioni, recita una vecchia freddura inglese, sono sempre difficili, specie quelle sul futuro. E quelle sulle elezioni americane sono tra le più ardue. Esperti, sondaggi, partiti, bookmakers, non ci azzeccano quasi mai. Soprattutto negli ultimi decenni, da Bush II in poi, a causa della maggiore mobilità elettorale e della crescita di un disagio che parte dal profondo della società americana. E che favorisce candidati radicali, di svolta, capaci di dare risposte al di fuori dei vecchi schemi e dei vecchi partiti.
Il candidato che risponde più di ogni altro a queste nuove esigenze è Bernie Sanders. Ed è quello che ha le maggiori probabilità di vincere su Trump, anche lui personaggio di rottura, ma che non ha rotto, e che Sanders è in grado di mettere in difficoltà – con il suo messaggio anti-establishment e “socialista” – proprio presso il suo elettorato di riferimento, la classe lavoratrice bianca impoverita dallo strapotere del capitale finanziario. Sanders può vincere perché è in grado di interpretare le domande anti-imperiali e di giustizia sociale ormai diffuse in tutta la società meno che in quello 0,1% che controlla, però, quasi tutto: finanza, media, partiti, governo, Parlamento, Pentagono.
Gli Stati Uniti sono l’unico vero sistema capitalistico rimasto sul pianeta, mezzo secolo indietro rispetto all’Europa, al Canada e al Giappone. Zone dove la ricerca del profitto ha dovuto fare i conti con nemici agguerriti, che in alcuni Paesi hanno finito col sottomettere il mercato alle logiche e agli interessi della società. Il modello scandinavo, i Paesi scandinavi sono oggi molto popolari negli Usa. Sono in tanti a vederli come un esempio da seguire. Perché? Perché il loro sistema offre protezione efficace dalle avversità più elementari della vita. È in corso in America la ribellione silenziosa di una società che si sente minacciata nelle sue radici. Che sente la sua stessa “sostanza umana e materiale” messa in pericolo da un sistema che nega ai suoi membri alcuni diritti fondamentali mentre si riempie la bocca di retorica sulla cosiddetta “democrazia liberale”.
Gli Stati Uniti di oggi sono l’ombra della società aperta, prospera e fiduciosa di un tempo. Mezzo secolo di neoliberalismo capitalistico ha fatto sì che una malattia o un incidente serio, la perdita del lavoro o la caduta nel precariato da 8 dollari al giorno siano divenuti minacce che incombono su centinaia di milioni di cittadini. Il resto dell’Occidente, invece, presenta un’autorità pubblica piena di difetti, ma in grado di offrire ai propri cittadini istruzione e sanità universali e quasi gratuite, un reddito minimo di sopravvivenza, l’accesso ragionevole al servizio giustizia e rischi contenuti di incarcerazione, tossicodipendenza e degrado estremo della salute fisica e mentale.
Gli oppositori di Sanders chiamano tutto questo “socialismo” e la grande informazione, anche quella democratica, insiste sull’argomento che gli Stati Uniti non possono avere un presidente che si dichiara socialista. L’ intero establishment, Partito democratico incluso, è mobilitato contro Sanders. Come lo era, ma in misura minore, contro Trump. Ogni giorno il New York Times ricorda che Sanders è troppo estremo, che le sue riforme costano troppo e che la sua base elettorale è troppo esigua. Omettendo di informare i lettori che Bernie Sanders è il politico più popolare degli Stati Uniti; batte regolarmente, e da anni, Trump in tutti i sondaggi sulla presidenza; è l’unico in grado di mobilitare i non votanti e quelli che si dichiarano indipendenti; intorno alla sua elezione si gioca la grande partita della civilizzazione degli Stati Uniti. Quanto ai costi di una riforma sanitaria “all’europea” e della costruzione di un minimo di decente protezione sociale, basterebbe ridurre l’oltraggioso bilancio della Difesa e smettere di fare le guerre senza fine in Medioriente. Sono proposte molto popolari avanzate da Sanders, la cui adozione salverebbe tra l’altro il dollaro dal collasso per indebitamento dello Stato federale.
La vera questione, quindi, non è se Sanders ce la può fare a vincere. La domanda potrebbe riguardare, semmai, la natura dello scontro e l’esito della partita che si aprirebbe con la sua elezione. Si finirebbe con la vittoria della società e dei diritti dei cittadini contro una plutocrazia predatoria, coesa, che ha una lunga storia di violenza dietro le sue spalle? O questa macchina spoliatoria prevarrebbe immediatamente, neutralizzando o schiacciando qualunque tentativo di incivilire l’America? Meglio non correre troppo. Le lunghe marce cominciano sempre con un primo passo.
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