Ogni anno 14 miliardi di dollari destinati a contratti esterni. Un fiume di soldi che finisce per foraggiare i talebani. Per questo la Nato ora cambia le regole.
L'Unità, 25 set. 2010
Mondo
Il dossier, di Umberto Degiovannangeli
«La Nato ha deciso di cambiare le sue politiche di finanziamento ai privati in Afghanistan dopo le accuse di finanziamento indiretto della guerriglia talebana tramite gli appalti della logistica militare lanciate nei mesi scorsi in sedi qualificate». A rivelarlo è Pino Arlacchi, ex vicesegretario generale dell’Onu e presidente dei parlamentari europei per l’Afghanistan.
«Il generale Petraeus ha reso pubblico un memorandum – spiega Arlacchi – nel quale si parla apertamente del rischio che i 14 miliardi di dollari che ogni anno entrano quasi senza controllo nelle fauci degli appaltatori privati che operano in Afghanistan finiscano con l’alimentare le mafie dei talebani e dei signori della guerra. E Petraeus introduce una serie di correttivi quali l’obbligo di presentare una lista di tutti i subappaltatori di ogni progetto, i dettagli sul personale impiegato, le licenze, i conti correnti bancari dei beneficiari dei fondi Nato, nonché la costituzione di una banca dati e di una specie di certificazione anti-corruzione per gli appalti oltre i 100mila dollari», prosegue Arlacchi.
«Questi correttivi – osserva l’europarlamentare – parlano da soli. Ci dicono che è mancato finora ogni controllo su una spesa che è diventata la maggiore causa di corruzione in Afghanistan e la principale fonte di finanziamento dei talebani, superiore perfino alla tassazione dell’industria della droga.
Le misure introdotte da Petraeus sono la prova che le nostre denunce sull’indecente spreco di fondi dei contribuenti europei in Afghanistan erano interamente fondate. L’interrogazione scritta che ho presentato assieme ad altri 19 deputati lo scorso luglio, e la sua lettura nell’aula della Commissione Esteri del Parlamento europeo durante l’audizione del Segretario generale della Nato hanno ricevuto una prima risposta. Solo l’ineffabile Alto Rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, signora Ashton, cui l’interrogazione era indirizzata, è rimasta indifferente di fronte alla gravità dei fatti denunciati», conclude Arlacchi.
Quattordici miliardi di dollari. L’equivalente del Pil annuo dell’Afghanistan. Una cifra enorme, sino a ieri appaltata senza filtri significativi ai «predoni» afghani. Nel rapporto all’Europarlamento, l’ex vicesegretario generale dell’Onu traccia anche un identikit delle forze talebane, mettendo in evidenza che i talebani non sono un’entità unica uniforme: si contano almeno 33 leader, 820 capi di livello medio più giovani, e 25mila-36mila «soldati semplici» ripartiti tra 220 comunità, che lottano alcune per motivi ideologici altre per questioni di soldi.
Nel rapporto, Arlacchi quantizza anche i costi della guerra: dal 2001 al 2009 tali costi sono stimati ad oltre 300 miliardi di dollari Usa ed equivalenti a oltre 20 volte il Pil del Paese, e che, in seguito al previsto incremento delle forze militari, dovrebbero passare ad oltre 50 miliardi di dollari Usa l’anno. I costi dell’eliminazione della povertà in Afghanistan – sottolinea il rapporto – sono equivalenti a quelli di cinque giorni di guerra. I fondi necessari per una settimana di guerra potrebbero finanziare 6000 scuole, sufficienti a garantire un futuro senza analfabetismo a tutti i bambini dell’Afghanistan. Per quanto riguarda l’esternalizzazione della logistica militare a compagnie private, essa si è rivelata non solo una pratica ad alto rischio di sicurezza ma anche moltiplicatrice di costi. Un esempio: «I contribuenti europei – rimarca Arlacchi – hanno pagato 27 milioni di euro ad una società privata inglese per la protezione della missione Unione europea a Kabul. Lo stesso servizio poteva essere fornito da una qualunque forza di polizia europea con costi pari a un terzo di questa somma, e con una qualità molto superiore». L’esternalizzazione riguarda anche la formazione della polizia afghana affidata a compagnie private. Secondo fonti Isaf, rivela il rapporto, dei 94mila agenti della polizia nazionale afghana quasi il 90% è analfabeta, il 20% tossicodipendente, e oltre il 30% scompare dopo un anno, senza contare i circa mille poliziotti uccisi in servizio ogni anno. Un quadro inquietante portato alla luce a Bruxelles da una interpellanza di 20 europarlamentari. «In Afghanistan – rivela l’interrogazione – l’esercito statunitense ha deciso di esternalizzare la maggior parte dei propri servizi logistici, affidandoli ad appaltatori privati che, a loro volta, hanno subappaltato la protezione dei convogli militari ad agenzie di sicurezza afghane locali. Tale catena ha avuto effetti disastrosi: la decisione di lasciare la gestione dei rifornimenti dell’esercito statunitense nelle mani di privati alimenta estorsioni e corruzione, poiché i signori della guerra, i capimafia locali e, infine, i capi talebani riescono a entrare in possesso di una parte significativa dei 2,2-3 miliardi di dollari spesi per la logistica militare in Afghanistan. Tale cifra supera i finanziamenti che i talebani ottengono mediante la loro “tassazione” del settore dei narcotici (che, secondo le stime dell’Onu, è pari al 15% del loro bilancio militare). I proventi del racket e delle estorsioni, fenomeni presenti in tutti i livelli della catena dei rifornimenti militari, rappresentano la principale fonte di finanziamento per i rivoltosi, come ha ammesso la Segretaria di Stato Usa Hillary Clinton nella sua testimonianza di fronte alla Commissione per le relazioni estere del Senato statunitense nel dicembre 2009. Poiché i sistemi logistici militari degli Stati Uniti e della Nato – incalzano gli europarlamentari – seguono percorsi simili, potrebbe accadere che i contribuenti europei si trovino a finanziare i talebani passando attraverso le stesse istituzioni che dovrebbero combatterli. La Nato e tutte le forze di coalizione presenti in Afghanistan dovrebbero, perciò, ritornare a provvedere autonomamente ai propri rifornimenti militari».
Il nuovo meccanismo messo a punto dal generale Petraeus è un primo correttivo. Ma non basta. Perché l’esternalizzazione della logistica militare rimane un affare miliardario per corrotti, trafficanti, e signori della guerra.