Hanno votato per le lui le classi più povere
l'Unità, 9 ott. 2012
di Pino Arlacchi
La nuova vittoria di Chavez può sorprendere solo chi ignora i dati di fondo della situazione del Venezuela, e chi è vittima del diluvio di disinformazione che ha creato la falsa immagine del caudillo autoritario dedito allo sperpero delle risorse pubbliche, dentro un paese allo sbando, sempre sull'orlo del collasso politico ed economico.
Era semplicemente logico, invece, che Chavez vincesse. E vincesse anche contro un avversario non di destra, che prometteva di continuare e non di smantellare le politiche chaviste.
Si dà il caso, infatti, che anche i poveri votino, e che siano tanti. E che quando vanno a votare convinti in libere elezioni, formino un blocco difficile da smontare.
Il timbro di Carter
Gli ex poveri, poi, possono rivelarsi ancora più ostinati. E si dà anche il caso che in Venezuela gli ex poveri siano tra i 6 e gli 8 milioni (tra il 21 e il 28% della popolazione). Si dà il caso, poi, che in Venezuela ci siano elezioni libere, anzi, liberissime, se dobbiamo credere a un comunista del calibro di Jimmy Carter, che ha dichiarato poche settimane fa che «tra le 92 elezioni che abbiamo monitorato, posso affermare che il processo elettorale del Venezuela è il migliore del mondo».
Carter ha vinto un premio Nobel per il monitoraggio delle elezioni effettuato dal suo centro. Ma siccome Chavez è la bestia nera del Dipartimento di Stato, che da dieci anni tenta di delegittimarlo in tutti i modi (incluso tentativi di colpi di stato), questo punto di vista viene accuratamente ignorato dai media statunitensi ed europei.
Per chi avrebbero dovuto votare i venezuelani se non per un Presidente che ha dimezzato in 10 anni il tasso di povertà portandolo al 27%, e ridotto la povertà assoluta del 70 per cento?
I media internazionali non citano queste cifre - peraltro di fonte CIA e Banca Mondiale. Preferiscono occuparsi della salute di un dittatore che si ostina a non crepare, e di qualche sua stravaganza latina.
Ma la maggioranza dei cittadini venezuelani conoscono un'altra verità.
Hugo Chavez è stato il primo Presidente del Venezuela che invece di mettere nelle tasche proprie e degli amici degli amici i proventi della bonanza petrolifera e di imboscarli poi nelle banche del Grande Fratello, li ha usati per ridurre la disuguaglianza sociale.
Può averlo fatto male, senza curarsi abbastanza degli investimenti, della sostenibilità dei progetti, della qualità e della neutralità dei canali di distribuzione della ricchezza petrolifera. È vero.
Ma l'impatto delle sue politiche «socialiste» sul tenore di vita e sui diritti effettivi dei cittadini è stato imponente. È stata creata una vera sanità pubblica e gratuita, nonché un vero sistema pensionistico. È stata eliminata la fame, scolarizzata la popolazione (oltre il 90% di alfabetizzati), ridotta drasticamente la mortalità infantile. È stato aperto l'accesso all´università ai figli degli indigenti. Raddoppiati gli studenti universitari. Sono stati creati milioni di alloggi.
In contrasto, i governi oligarchici dei venti anni prima di Chavez hanno fatto del Venezuela uno dei peggiori fallimenti dell'America Latina, con il reddito reale delle persone sceso del 14 per cento.
Tutto ciò è avvenuto in parallelo al rafforzamento delle libertà politiche e civili. Non è solo raddoppiato il PIL. Nell'epoca Chavez è cresciuta anche la partecipazione popolare. La registrazione dei votanti in Venezuela sfiora il 97%, mentre nel faro della democrazia planetaria, gli USA, 90 milioni elettori non potranno votare a novembre perché nessuno si cura di loro.
La deriva autoritaria di Chavez, secondo l'establishment della politica estera statunitense, si esprime nel suo controllo di un impero medatico. Ma ci si dimentica di informare il pubblico che la televisione statale venezuelana - dove Chavez effettivamente imperversa - viene vista dal 5-8% dell'audience nazionale. Il rimanente è nelle mani di emittenti private, come la gran parte della stampa e della radio, ferocemente ostili al Presidente.
Il Venezuela di Chavez è parte della "primavera latino-americana", che ha prodotto i governi più democratici, progressisti ed indipendenti della storia del continente. Questi governi lavorano assieme, e il Venezuela ha il solido sostegno degli altri paesi. E prima di tutto del Brasile di Lula, cui assomiglia per molti versi. La sinistra europea non può che trarre motivo di conforto e di incoraggiamento da questi risultati. Nel mondo c'è qualcuno che fa cose di sinistra. E vince.