L'analisi di Pino Arlacchi
Cade oggi il ventennale dell´arresto di Totò Riina: un grande successo dello Stato che in un paese normale dovrebbe fornire l´occasione per ricordare che le forze della legalità non sono condannate sempre alla sconfitta. La cattura di Riina a meno di un anno da Capaci consolidò la riscossa antimafia successiva alle stragi. Dimostrò che Falcone, Borsellino, Chinnici e tanti altri non erano morti né soli né invano, e rilanciò lo scontro Stato-mafia su un livello ancora più alto. Solo due mesi dopo veniva rinviato a giudizio Giulio Andreotti sotto l´accusa di collaborazione con Cosa Nostra, la quale rispondeva con una seconda ondata di stragi.
Cosa sta accadendo invece, oggi, nel Paese? L´opinione pubblica è allo sbando, in preda a misteriologi e detrattori di ogni sorta, che rilanciano un´ipotesi campata in aria, senza alcuna prova a supporto, secondo la quale la cattura di Riina fu opera del suo concorrente ai vertici della mafia, Bernardo Provenzano, il quale avrebbe fatto arrivare ai carabinieri la soffiata decisiva per l´individuazione del nascondiglio del boss e della sua famiglia nella periferia di Palermo.
Provenzano, secondo i misteriologi, era stanco della pressione investigativa su Cosa Nostra, dissentiva dalla scelta stragista di Riina, e stava negoziando con lo Stato la vanificazione della legislazione antimafia in cambio della cessazione degli attentati e del ritorno alle vecchie tattiche di collusione e complicità. L'arresto di Riina e la mancata perquisizione del suo covo, lungi dall´essere un limpido successo delle forze dell´ordine, furono uno squallido episodio di "appeasement" istituzionale.
A sostegno di questa "bufala" i misteriologi omettono di fare riferimento all´unico documento giudiziario pienamente attendibile sul tema dell´arresto di Riina e della mancata perquisizione della casa di via Bernini: la sentenza del Tribunale di Palermo del febbraio 2006 che assolve con formula piena i carabinieri accusati di avere trescato con la mafia.
È un documento pubblico, che mette la parole fine a tutta la vicenda perché sentenza passata in giudicato. Leggetelo su questo indirizzo:www.laprivatarepublica.com.
La sentenza è una ricostruzione accuratissima, affascinante per ritmo e stile, dei 6 giorni che passano tra la cattura in Piemonte di un uomo d'onore alla deriva, Baldassarre di Maggio, ex-autista di Riina condannato a morte dalla mafia, e l´arresto a Palermo del capo dei capi. Riina fu preso grazie al talento investigativo del famoso capitano Ultimo, all'eccellenza organizzativa dell'Arma dei carabinieri ed alla regia della Procura di Palermo che seppero trasformare gli input di di Maggio in una operazione da manuale di polizia giudiziaria.
Il covo non fu perquisito subito per via di una decisione assunta da Ultimo con il consenso dell´autorità giudiziaria. Lo scompaginamento della rete di protezione economica e politica di Cosa Nostra da ottenere attraverso l´osservazione dei visitatori del covo nei giorni successivi all´arresto.
Questa scelta aveva un costo: la mafia avrebbe avuto il tempo di "ripulire" l´abitazione eliminando note, registri, lettere accumulati da Riina durante la latitanza. Ma si valutò che i parenti del corleonese l´avevano quasi certamente già fatto nelle ore successive alla sua cattura.
Una rovinosa fuga di notizie partita dell´interno stesso dell´Arma e motivata da rivalità e personalismi mandò a monte il tutto.
Ma i giudici affrontano anche il tema del movente della bufala di un Riina "venduto" da Provenzano: la cosiddetta trattativa Stato-mafia iniziata l´anno prima dagli stessi carabinieri del ROS che avrebbero offerto a Provenzano, tramite Vito Ciancimino, una serie di benefici in cambio della consegna di Riina e della rinuncia alle stragi. I contatti, concludono i giudici, ci furono. Ma l'esito non fu un reale negoziato. Lo Stato continuò ad attaccare, con arresti massicci, catture di latitanti, sequestri di patrimoni, condanne. Inoltre, aggiunge chi scrive, Ciancimino stesso finì arrestato nel dicembre 1992. Riina fu preso il mese dopo senza l'aiuto della mafia. Andreotti e tanti altri vennero incriminati.
Gli incauti carabinieri di Mario Mori avevano agito senza alcuna copertura politica. Avevano iniziato offrendo solo un trattamento di favore per le famiglie dei mafiosi, ma poi si erano fatti trascinare dal gioco. Ed avevano finito col suscitare nella mafia una aspettativa di negoziato che, una volta frustrata, si trasformò in una rinnovata aggressività con gli attentati e le stragi del 1993.
Mori pose in essere -scrivono i giudici- un´iniziativa spregiudicata che, nell´intento di scompaginare le fila di Cosa Nostra ed acquisire utili informazioni, sortì invece due effetti opposti: da una parte la collaborazione di Ciancimino...dall´altra la devastante consapevolezza, in capo all´associazione criminale, che le stragi effettivamente "pagassero" e lo Stato fosse ormai in ginocchio, pronto ad addivenire a patti".
Se la cattura di Riina, cari misteriologi, fosse stata il frutto di un reale accordo occulto con lo Stato si sarebbe assistito ad una pausa nelle ostilità, e non alla guerriglia che ha punteggiato il 1993: attentato di via Fauro, e poi via dei Georgofili a Firenze,via Pilastro a Milano, San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma....