Cosa ho fatto nelle prime due settimane al parlamento europeo

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26 agosto 2009

La seduta inaugurale del nuovo Parlamento europeo si è tenuta a Strasburgo il 14 luglio scorso e nella settimana successiva non si è perso molto tempo. Si sono costituite le Commissioni e si è discusso soprattutto della conferma di Barroso al vertice della Commissione europea. Qui si è avuta una sorpresa. Dopo avere ottenuto il via libera dal Consiglio europeo - l’organo dell’Unione formato dai governi che ne fanno parte, tradizionale antagonista del Parlamento, unico organo eletto direttamente dai cittadini – la nomina di Barroso è stata bruscamente stoppata dai parlamentari neo-eletti.

Siamo stati in molti a criticare la gestione Barroso degli ultimi anni. Tra noi liberaldemocratici, e tra i verdi ed i socialisti, il disagio verso un Presidente dell’organo esecutivo dell’Unione che non ha saputo muovere un dito, esercitare alcuna leadership, lanciare alcuna iniziativa nei confronti di nessuno dei grandi tempi internazionali, questo disagio era palpabile. Sono intervenuto nel dibattito interno ad ALDE (l’Alleanza dei democratici e dei liberali europei cui fanno capo i 7 parlamentari di Italia dei Valori), sottolineando come il progetto europeo si sia trovato senza una spinta propulsiva proprio nel momento in cui ne aveva il massimo bisogno.

Il momento in cui il declino dell’egemonia americana sul pianeta è diventato visibile a tutti, al pari dell’ascesa della Cina e dell’Asia. E in mezzo ad una crisi economica paragonabile solo al crack del 1929.

Abbiamo deciso di rimandare il voto su Barroso a settembre, dopo avere ascoltato le sue proposte per una gestione di più alto profilo della Commissione. Parecchi di noi stanno perseguendo una strategia di logoramento della candidatura dell’ex-primo ministro conservatore portoghese nella speranza che spuntino fuori candidature alternative. Ma queste non si sono finora viste, e la data del 16 settembre, quando dovremmo votare in seduta plenaria a Strasburgo il prossimo Presidente della Commissione europea, si sta avvicinando pericolosamente (per gli antipatizzanti di Barroso).

Poiché non voglio dare l’impressione di avere assunto una posizione per partito preso, opponendomi alla riconferma di Barroso seguendo il riflesso condizionato della sinistra contro la destra, rimando i lettori alla mia idea dell’Unione europea e del suo ruolo rispetto agli Stati Uniti e al resto del mondo, che trovate articolata nel mio saggio su “Il Governo mondiale, L’Europa e il declino degli USA” riprodotto qui vicino, in questo sito. Leggetelo. E’ una sintesi di ciò che penso sui maggiori temi sul tappeto.

Ma torniamo alle prime settimane in Parlamento. Sono entrato a far parte della Commissione esteri, e sono stato subito coinvolto in un argomento molto concreto, “operational”. Sono stato nominato relatore-ombra, cioè correlatore, sull’accordo di cooperazione e di partnership tra l’Unione europea ed una mia vecchia conoscenza, il Tajikistan. Le circostanze che mi hanno portato a diventare correlatore della risoluzione su questo paese hanno confermato la mia prima impressione sul “parrocchialismo”, la mancanza di visione globale dell’Unione stessa. Nella riunione del mio gruppo in preparazione della seduta della Commissione, quando si è affrontato l’argomento Tajikistan si è fatto il vuoto. Nessuno sapeva alcunché sul paese, e quindi non c’erano candidati per la posizione, normalmente ambita, di relatore-ombra. Nonostante fosse la mia prima volta ad un meeting del genere, mi sono offerto per mancanza di colleghi ALDE disposti a trattare il tema.

Mi ero occupato molto di Tajikistan all’ONU. Il paese aveva sofferto una guerra civile tra le più feroci con oltre 150mila morti, terminata nel 1997 con una tregua seguita da un massiccio intervento del peace-keeping delle Nazioni Unite. Ricordo ancora il mio primo giorno da Direttore esecutivo del Programma antidroga. Il primo appuntamento della giornata fu con il ministro degli esteri del Tajikistan, un signore dall’aria scura, vestito di scuro, che mi parlò di cose terribili, che mi scossero molto, e che mi portarono ad impegnarmi a fondo in quel paese negli anni successivi. Creai una agenzia specializzata per il contrasto del grande traffico di droga dall’Afghanistan, che condivide oltre 1000 chilometri di confine con il Tajikistan, rifornendo il mercato russo e dell’Europa occidentale. L’agenzia fu una storia di successo. Sotto la guida di un uomo d’eccezione, il generale Nazarov, essa riuscì a sequestrare svariate tonnellate di droghe ed arrivò quasi sul punto di interrompere la rotta settentrionale dell’eroina afghana. Scoprimmo poi, attraverso un monitoraggio via satellite del confine tagico-afghano, una rete di 40 immensi depositi di oppiacei, capaci di stoccare circa 100 tonnellate di eroina, due volte la domanda annua dell’intera Europa Occidentale.

Si trattava di una minaccia alla sicurezza globale, e con l’assenso del Segretario generale portai la questione di un intervento internazionale per la distruzione dei depositi davanti al Consiglio di Sicurezza, dove essa affondò ignominiosamente per il veto inglese e l’insipienza degli altri membri permanenti.

Sono stato perciò contento di presentare un emendamento all’accordo di Cooperazione tra Unione e Tajikistan che aumenta la dotazione di risorse dell’Agenzia antidroga di questo paese, e spero molto che esso sia accolto nel testo definitivo che andrà in votazione finale a metà settembre. Ma non dimentico neppure che, il giorno nel quale abbiamo discusso il testo dell’accordo, nella sala della Commissione esteri -una della più affollate del Parlamento europeo – non eravamo più di 5-6 deputati ad essere presenti in aula.

Pino Arlacchi

 
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