Intervista all'europarlamentare Pino Arlacchi
12.ott.2010
di Stefania La Malfa
L'attentato contro i soldati italiani in cui sono rimasti uccisi quattro alpini ha riportato sotto i riflettori la questione dell'intervento militare dell'Occidente nel paese. Ma come vivono gli afghani? Pino Arlacchi (Pd), presidente del Gruppo "Europarlamentari per l'Afghanistan", sceglie Affaritaliani.it per spiegare qual è la situazione umanitaria.
Nonostante la guerra costi 50 miliardi di dollari all'anno, tre volte il Pil dell'Afghanistan e nonostante gli aiuti umanitari ammontino a 7 miliardi di dollari all'anno, la metà del Pil afghano, siamo entrati nel decimo anno di guerra e il paese, che conta 30 milioni di abitanti, sta peggio di prima, denuncia Arlacchi.
L'europarlamentare è anche relatore del rapporto "Nuova strategia dell’Afghanistan", presentato lo scorso luglio e che sarà discusso a novembre. "Dal nostro punto di vista - spiega Arlacchi - l'Afghanistan è importante per due motivi, per la guerra al terrorismo e per la droga visto che il paese produce la quasi totalità dell'eroina che arriva in Europa occidentale e danneggia la salute di un milione e mezzo di eroinomani. Ma dal punto di vista afghano, né le le violenze dei gruppi terroristici né il crescente consumo di droga sono i problemi principali. Il problema principale è invece la povertà".
"L'Afghanistan - continua - è il paese più povero del mondo insieme con la Sierra Leone: fa più morti la povertà che la guerra. Ogni anno le vittime del terrorismo sono 2-3mila mentre muoiono di parto oltre 20mila donne e la denutrizione, secondo l'Unicef, colpisce oltre il 50% dei bambini. Dunque la povertà, nonostante gli aiuti umanitari, invece di diminuire è aumentata e colpisce quasi la metà della popolazione afghana".
Perché gli aiuti umanitari non sono riusciti a diminuire la povertà?
"Gran parte di questi aiuti sono solo sulla carta: l'80% sparisce e all'Afghanistan arriva solo il 20% di tutti gli aiuti internazionali. Sparisce per la corruzione del governo afghano, ma questa è una voce minore anche se se parla di più, e soprattutto per la corruzione e lo spreco degli aiuti internazionali.
Da dove arrivano gli aiuti?
"Gli aiuti arrivano dagli Stati Uniti che investono 4-5 miliardi di dollari all'anno. Questi soldi sono però sono buttati via perché vengono dati a contractors privati che non consegnano agli afghani i beni e le opere che dovrebbero".
Chi sono i contractors?
"Sono delle società private che si occupano di fare quello che dovrebbero fare le ong o il governo afghano: dai combattimenti alla costruzione delle scuole. La ricostruzione però avviene poco e male e a prezzi esorbitanti. Sono stato in Afghanistan lo scorso febbraio, oltre al periodo che ho trascorso lì tra il 1997 e il 2000 come direttore del programma antidroga dell’Onu, e ho visto che una scuola costa 100mila euro mentre i contractors americani la fatturano dalle 2 alle 7 volte di più. E poi i soldi se ne vanno via anche in spese di sicurezza: ogni opera di ricostruzione fatta dai contractors deve essere protetta e questo fa salire il costo del 20-30%".
Perché gli Stati Uniti hanno scelto questo sistema per aiutare l'Afghanistan?
"E' una scelta che hanno fatto sia per l'intervento civile che militare. E dietro ci sono delle lobbies che hanno agganci forti con l'amministrazione Obama. In Afghanistan i contractors poi subappaltano la sicurezza dei trasporti a società dietro le quali ci sono i talebani. Stiamo arrivando quindi al paradosso che la principale fonte di finanziamento dei talebani sono gli appalti della Nato e non la droga. Il Senato americano se n'è accorto lo scorso luglio ma per cambiare la situazione ci vorrà tempo visto che queste società sono utilizzate da 9 anni".
Gli aiuti umanitari arrivano anche dell'Europa?
"L'Europa glissa. Noi diamo un miliardo di euro all'anno. Metà di questi fondi vanno alla Banca Mondiale e alle grandi organizzazioni internazionali. C'è meno spreco visibile però esiste il problema delle consulenze inutili: il 12% di tutti i soldi che arrivano dall'Europa in Afghanistan rientrano in Europa sotto forma di consulenza di esperti pagati 200-300mila euro all'anno. E oltre il 10% finisce in spese amministrative".
Che cosa si dovrebbe fare per migliorare la situazione?
"Si dovrebbe copiare il metodo Lula. Il governo afghano ha calcolato che tra il 2002 e il 2009 l’Afghanistan ha ricevuto circa 40 miliardi di dollari di aiuti ma l'80% non è mai arrivato. Nello stesso periodo il presidente del Brasile ha tolto dalla povertà 24 milioni di persone spendendo molto meno. Lula ha dimezzato la povertà dando 50 dollari al mese alle donne delle famiglie povere e chiedendo in cambio di mandare i bambini a scuola e di vaccinarli. Non c'è bisogno di inondare l'Afghanistan di soldi: per togliere il paese dalla povertà serve mezzo miliardo di dollari all'anno. Abbiamo proposto che l'80% dei fondi passi dal governo afghano e che si predispongano meccanismi di controllo per evitare la corruzione. E con l'obiettivo di dare sussidi direttamente alle famiglie afghane. E poi sicuramente deve essere sviluppata l'economia del paese dando spazio alle risorse locali, sia quelle minerarie come il marmo, che agricole come lo zafferano".