Pino Arlacchi sull'impotenza dell'Onu nella Primavera araba.
Lettera 43, 19 mar. 2011
di Barbara Ciolli
Per la Siria i grandi del mondo non hanno deciso una no fly zone come per la Libia, né raggiunto un accordo per un corridoio umanitario in soccorso ai civili. E, senza la volontà degli Usa, non sarà possibile neanche smuovere la Nato a una “guerra umanitaria”, come nel 1999 avvenne per il Kosovo.
A un anno dalle proteste di Daraa che, il 15 marzo 2011, incendiarono il Paese, le Nazioni Unite sono state capaci di denunciare morti e violenze (almeno 8 mila le vittime e 30 mila profughi in fuga), ma non di alleviare le sofferenze dei civili.
LA SIRIA NON È LA LIBIA. Eppure, a un mese dalle rivolte a Bengasi, a marzo 2011 i caccia inglesi e francesi sfrecciavano già sopra i cieli libici, legittimati dal Consiglio di sicurezza dell'Onu. L'intervento sarebbe poi passato in carico alla Nato, fino alla cattura e alla morte, nell'autunno, del raìs Muammar Gheddafi.
A Damasco, invece, il presidente Bashar al Assad è sempre in sella. Proclami retorici a parte, le sabbie mobili dell'Onu, di cui la Siria è Stato membro, non solo hanno bloccato una nuova, discutibile azione militare. Ma hanno fatto anche sfociare le mediazioni in un nulla di fatto.
All'irrisolutezza di Palazzo di Vetro, si è aggiunta una diplomazia europea debole e priva e personalità, che, seguendo la scia degli Usa, si è solo limitata a prendere tempo. Tante parole, pochi fatti a rendere l'operato di Palazzo di Vetro spesso inutile e costoso.
L'IMPOTENZA DELL'ONU. «La paralisi è favorita dalla struttura stessa dell'organizzazione», ha spiegato a Lettera43.it l'europarlamentare del Pd Pino Arlacchi, ex vice segretario generale dell'Onu e membro della Commissione esteri dell'Unione europea. «Non bisogna infatti dimenticare che l'Onu è composta da singoli Stati, ognuno dei quali con i suoi interessi ed equilibri da difendere».
D'altra parte, ha proseguito Arlacchi, sulla Siria neppure l'Ue è riuscita a imporsi, «replicando, di fatto, il copione degli Usa». Per questo, a Damasco gli sviluppi non saranno così rapidi come a Tripoli. «Il percorso di democratizzazione sarà lento e complesso». E il prezzo pagato dai civili per la Primavera araba altissimo.
DOMANDA. In fondo, anche l'apparente decisionismo dell'Onu sulla Libia fu un indice di debolezza e non di forza. Alla fine, prevalsero le pressioni di Francia e Gran Bretagna.
RISPOSTA. La prima risoluzione autorizzò la no fly zone, la seconda l'impiego della forza a difesa dei civili. Di fatto, in realtà, l'intervento internazionale sfociò poi in un'operazione di cambio di regime.
D. Possiamo parlare di Nazioni Unite manovrate dai grandi del mondo?
R. Di certo, il via libera dell'Onu all'intervento, possibile grazie all'astensione di Russia e Cina, è stato usato con ampia libertà dagli occidentali, scatenando la diffidenza di Mosca e Pechino.
D. Russi e cinesi, tradizionali alleati del clan degli Assad, si sono sentiti raggirati. E, sulla Siria, hanno alzato le barricate.
R. Forse, senza il precedente libico, sarebbero stati più morbidi. La catena di recenti circostanze ha contribuito alla loro scelta di porre il veto.
D. Perché, in assenza di un accordo comune sul terreno militare, non si è proceduto a un intervento di peacekeeping? Da mesi si parla di corridoio umanitario con la Turchia.
R. Senza il consenso del Paese colpito dalla crisi, non sono possibili operazioni di peacekeeping mutinazionali. D'altra parte, senza la spinta degli Usa, in Siria non sarà possibile neppure una “guerra umanitaria”, sul modello del Kosovo.
D. Nel 1999 fu la Nato a partire da sola, per sbloccare lo stallo dell'Onu. Perché gli Usa sono così cauti, nel disporre azioni forti contro Damasco?
R. Un intervento militare romperebbe tutta una serie di equilibri, che, negli anni, il regime di Bashar al Assad ha contribuito a conservare. Dal Libano, alla Iraq, all'Iran, ne va della stabilità dell'intera regione.
D. Così però la paralisi è totale, visto che l'altro attore decisivo, l'Onu, è perennemente schiacciata dai meccanismi di forza.
R. Purtroppo a Palazzo di Vetro, lo stallo decisionale riflette la struttura alla base dell'associazione. Che è formata da Stati membri. Ognuno dei quali con i suoi interessi e i suoi equilibri da difendere.
D. Le Nazioni Unite allora sono inutili per risolvere la crisi siriana?
R. Finora la diplomazia si è rivelata debole. A Palazzo di Vetro, nonostante gli inviati e il canale aperto con la Lega Araba, si fatica a trovare una via efficace di mediazione.
D. Perché allora, durante la Primavera araba, non si è messa in luce l'Unione europea, con una sua politica diplomatica forte?
R. Anche le potenze europee sono vincolate agli interessi geopolitici ed economici nell'area.
D. Cioè?
R. Aprire un conflitto in Medio Oriente, per esempio, significherebbe mettere a rischio le forniture di petrolio. Per questo, né gli Usa, né la Gran Bretagna, vogliono seguire Israele in una guerra all'Iran.
D. Anche a Bruxelles prevalgono gli interessi nazionali su una linea comune.
R. L'Europa è stata a guardare. E, quando ha agito, ha adottato la linea delle sanzioni, ha applicato lo stesso copione degli Usa, dimostrandosi priva di originalità.
D. Le armi per combattere, però, sono state vendute sia ai rivoltosi, sia ai regimi autoritari che ordinavano repressioni.
R. Come sempre, va in scena l'ipocrisia. I russi hanno rifornito Damasco, gli Usa l'Egitto e gli Stati del Golfo, con contratti cospicui firmati anche quest'anno. Francesi, inglesi e tedeschi un po' tutti.
D. Nata da autentici moti popolari, la Primavera araba è stata strumentalizzata a uso e consumo degli ex colonizzatori?
R. No, è un processo molto lungo che, tuttavia, andrà avanti, estendendo la democrazia nel mondo. E le democrazie non offendono altre democrazie: in futuro, dunque, diminuiranno anche le guerre.
D. Quanto lunga sarà la Primavera araba?
R. Possiamo dire che è appena cominciata. La Siria lo dimostra: è un Paese complesso. Anche per l'impotenza dimostrata dalla diplomazia, non vedo soluzioni a breve termine.