I proclami interventisti dell’Eliseo isolano Parigi nella NATO. Non sono preoccupazioni umanitarie a motivare i piani francesi ma l’ambizione di protagonismo in un’area strategicamente importante.
l'Unità, 13 mar. 2011
di Pino Arlacchi
«Ci sono tre condizioni per un intervento militare in Libia. La prima è l’esistenza di prove tangibili della sua necessità (prove che non ci sono). La seconda è che esista una chiara base legale (una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU, che non c’è finora e difficilmente ci sarà). La terza è che ci sia una richiesta esplicita proveniente dalla regione (una improbabile richiesta di aiuto militare dalla Lega araba o da un governo provvisorio libico)».
Togliete il commento tra parentesi ed avrete comunque un’ottima dichiarazione. Perfettamente condivisibile da chiunque abbia a cuore la pace ed i diritti umani.
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Nessuno ha previsto le rivoluzioni democratiche del Nordafrica. I servizi di intelligence sono stati spiazzati. In questi decenni ha dominato la paura dell’Islam. Ma le forze della pace hanno continuato ad operare.
l'Unità, 8 mar.2010
di Pino Arlacchi
Sono in molti a chiedersi in questi giorni come mai le rivoluzioni democratiche del Nordafrica non sono state previste da nessuno, e perché i centri di intelligence, soprattutto americani, nonostante i loro enormi budget, siano rimasti così clamorosamente spiazzati davanti ai cambiamenti epocali in corso.
Questo fallimento ha una spiegazione. Non solo gli analisti dei servizi di sicurezza, ma anche la maggior parte degli studiosi di scienze sociali non sono stati capaci di anticipare nulla di ciò che sta accadendo nel mondo arabo semplicemente perché vittime e autori, allo stesso tempo, di un grande inganno. Parlo di un colossale offuscamento delle coscienze durato quasi due decenni, e basato sull’ idea che viviamo in un’epoca catastrofica, dove la nostra sicurezza corre un pericolo mortale a causa di una serie di minacce, la prima delle quali è l’Islam, seguita da altre quali gli stati canaglia, l’immigrazione, l’espansione della Cina, il riarmo, i conflitti e le guerre.
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Un giovane disoccupato di Milano e un giovane tunisino hanno molti punti in comune. Entrambi conoscono le cause del loro malessere. E sanno che il futuro dipende dalla qualità dei loro governi.
l'Unità, 26 gen. 2010
di Pino Arlacchi
Non sono pochi gli inganni messi a nudo dalla rivoluzione dei gelsomini in Tunisia. I giovani dimostranti non hanno solo rovesciato una delle tante autocrazie corrotte del mondo arabo. Hanno anche finito di distruggere il mantra neocon sulla necessità di esportare la democrazia fuori dall’Occidente.
Non c’è alcun bisogno di esportarla, la democrazia. L’Occidente non ne ha il monopolio. La democrazia è un bene universale, di cui possono farsi carico tutte le società civili del pianeta, se messe in condizione di esprimersi.
Sono solo l’ignoranza e il pregiudizio di molti commentatori che li portano a sorprendersi oggi di fronte alla sollevazione filodemocratica di masse arabe, africane e islamiche ritenute finora poco sensibili ai valori dell’autogoverno.
Non c’è molto di cui sorprendersi, in verità. La globalizzazione ha scavato sotto la superficie, livellando il terreno di gioco, diffondendo aspirazioni, sentimenti e malesseri dello stesso tenore in ogni angolo del pianeta. Al di sopra e al di là delle differenze di nazione, etnia e religione.
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La guerra tra civiltà è una categoria che nasconde conflitti originati da altro. Dal risentimento per le tante vittime civili a Baghdad al controllo del petrolio altrove. Ma la stampa fa finta di no.
l'Unità, 31 dic. 2010
di Pino Arlacchi
La persecuzione anticristiana in corso in Iraq è inspiegabile se non si tiene conto del trauma della guerra del 2003. Molti osservatori rilevano con sorpresa come lo scontro religioso fosse del tutto sconosciuto in Iraq prima dell’ invasione anglo-americana. Cristiani e musulmani professavano liberamente la propria religione, nel solco di una millenaria tradizione mediorientale, all’ interno di uno stato autoritario ma laico, dove un cristiano militante come Tarek Aziz poteva raggiungere i vertici del potere pubblico senza che si prestasse alcuna attenzione alla sua fede.
È stato il terribile shock dell’ occupazione militare che ha letteralmente scassato la società irachena, scatenando una specie di lotta di tutti contro tutti: odi e tensioni irriducibili non solo tra cristiani e musulmani, ma tra sciiti e sunniti, e tra questi ed altre minoranze.
La religione in se stessa non c’entra nulla con le animosità attuali. Se non si tiene conto dell’ immenso risentimento provocato dai bombardamenti e dalle distruzioni belliche condotte in Irak da potenze occidentali e cristiane che hanno fatto a pezzi il paese e lasciato sul terreno 660mila vittime civili, non si capisce nulla di ciò che accade adesso.
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Secondo alcuni storici del fenomeno, senza isteria comunicativa il terrorismo non ci sarebbe del tutto.
l'Unità, 19 dic. 2010
di Pino Arlacchi
Siamo vittime di una gigantesca manipolazione, che tende a farci credere che il terrorismo internazionale rappresenti una minaccia esistenziale, a causa dei suoi effetti devastanti sui regimi democratici, sulla società civile e sull´economia. Ma al netto dell´hype, del frastuono mediatico e delle dichiarazioni sopra le righe dei politici, dopo ogni attentato rimangono sul campo poche vittime, pochi danni, e nessun principio di destabilizzazione.
Una delle cause principali del terrorismo e´ il terrore. La paura diffusa a piene mani dai mezzi di comunicazione dopo ogni attentato che avviene in Occidente. Secondo alcuni storici del fenomeno, senza isteria comunicativa il terrorismo non ci sarebbe del tutto. I suoi capi abbandonerebbero una tattica che non riesce a raggiungere le prime pagine. E che non rende politicamente, perché fallisce in più del 90% dei casi, come dimostra uno studio rigoroso su 28 formazioni eversive, pubblicato su una rivista di grande prestigio, "International security".
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Il racconto di scenari apocalittici alimenta negli Usa il mercato della sicurezza: un giro d'affari di 14 miliardi di euro l’anno. Anche la Nato voleva occuparsene, ma l'Europa non ci è cascata.
L'Unità, 12 dic. 2010
di Pino Arlacchi
«Nell’arco di un quarto d’ora, 157 grandi aree metropolitane sono state messe in ginocchio da un blackout elettrico che le ha colpite durante l’ora di punta. Nuvole di gas velenosi si estendono sopra Wilmington e Houston. Le riserve di petrolio di molte città stanno bruciando nelle raffinerie in fiamme. I convogli delle metropolitane di New York, Oakland, Washington e Los Angeles si sono scontrati l’un l’altro. Gli aeroplani precipitano uno dopo l'altro a causa delle collisioni nelle aerovie fuori controllo. Le vittime sono già migliaia».
Questo è lo scenario evocato dal più noto esperto americano di cybersecurity, Richard Clarke, ex-esperto di criminalità sotto Clinton, ed ex-amico mio.
La causa dell’Apocalisse? Un attacco terroristico ai sistemi di gestione dell’energia elettrica e dei trasporti, ormai largamente informatizzati. Le probabilità dell’Apocalisse? Vicine allo zero. Molto inferiori a quelle di uno scontro tra la terra e un asteroide vagante. Non sto esagerando. Studiosi del calcolo delle probabilità ed astronomi hanno misurato proprio questo tipo di rischi. Perché è da queste misurazioni che dipendono le politiche di protezione. O meglio, dovrebbero dipendere, dato che in questo campo il terrore, la disinformazione e la truffa regnano incontrastati.
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L'Unità, 28 nov. 2010
di Pino Arlacchi
Inizia oggi sull'Unità e su questo sito (nella sezione Balle, Bufale & inganni...), un appuntamento più o meno regolare con i lettori, con i quali condividerò sia delle riflessioni estemporanee, legate all´attualità quotidiana della politica soprattutto internazionale, sia argomenti più meditati.
Il filo conduttore sarà la critica delle distorsioni informative, delle false notizie e degli stereotipi a senso unico che hanno l’effetto di annebbiare le nostre coscienze e di abbassare le nostre aspettative.
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«E' la bufala dell'anno duemila. A mezzanotte di quell'anno sarebbero dovuti saltare buona parte dei software del pianeta, perche´non programmati a riconoscere la data con tre zeri. Prima di accorgersi - alle ore 0,01 del nuovo secolo - che non si era scatenata alcuna Apocalisse informatica ma negli schermi dei computer si era solo delineato il profilo inconfondibile di una bufala - le societa´ che l´avevano inventata e venduta avevano incamerato un paio di miliardi di euro in consulenze, revisioni di programmi, task force di Capodanno, ecc».
«La bomba sporca è un normale ordigno esplosivo "condito" con isotopi radioattivi in modo da disseminare radiazioni intorno al luogo dell´esplosione e contaminare una larga zona. E' l'ordigno preferito da chi non si può permettere una bomba atomica vera e propria. Spaventa molto, ed è questo il suo punto più forte. La maggior parte degli esperti con la testa sulle spalle giudicano il suo valore militare quasi nullo: le sue vittime possibili sono nell'ordine di una o due.
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«Il mercurio rosso è un composto chimico segreto creato negli anni 80 nei laboratori atomici russi (da cui aggettivo e colore). Il mercurio rosso è dotato di una estrema versatilità. Serve per costruire ordigni nucleari, per pulire l'oro o come vernice antiradar per rendere invisibili gli aerei militari.
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