La Stampa, 27 lug. 2009
"Più di una trattativa tra Stato e mafia"
di Francesco La Licata
«Vedo un pericolo, in questa overdose di servizi più o meno deviati, di trattative, di improvvise loquacità di uomini come Riina, di papelli sparsi in giro più per confondere che per fare chiarezza». Il prof. Pino Arlacchi, eurodeputato dell'Idv e studioso dei fenomeni críminali, può essere considerato un testimone d'eccezione di quel momento della storia d'Italia improvvisamente tornata alla ribalta.
Era in stretto contatto con Falcone e Borsellino, era il più vicino collaboratore del ministro dell'interno Vincenzo Scotti ed era uno dei punti di riferimento - l'altro era Gianni De Gennaro - della Direzione Investigativa Antimafia, la polizia che Falcone pensava come braccio operative della Direzione Nazionale Antimafia (la famosa "Superprocura"), entrambe ideate per la battaglia frontale contro Cosa Nostra all'inizio degli Anni Novanta.
Professore, quale sarebbe il pericolo di cui parla?
«Che prevalga l'idea sbagliata, fortemente perseguita dalla mafia, che non c'è mai stata nessuna genuina opposizione a Cosa Nostra e nessuna possibilità di vittoria. Io dico il contrario, dico che in quegli anni, specialmente a ridosso della strage di Capaci e fino al '94 noi abbiamo avuto la possibilità di farla finita con la mafia. Purtroppo quell'occasione l'abbiamo persa, ma le condizioni per vincere c'erano, anche dopo Capaci e via D'Amelio. Perché l'apparato di contrasto era molto più forte di quelle frange marginali dello Stato che remavano contro, facevano trattative e papelli.»