La lezione dell'11 settembre: l'impotenza del terrorismo mondiale

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11 sett. 2011

di Pino Arlacchi

Colpisce la scarsa retorica dei commenti americani al decennale dell’11 settembre. E domina un po’ dovunque la voglia di uscire dalla sbornia di esagerazioni e di vuota magniloquenza che ci hanno annebbiato nelle settimane successive all’attentato. Nessuno parla più, a proposito di lotta al terrorismo, di scontro epocale o di terza o quarta guerra mondiale.
L’11 settembre non ha inaugurato una nuova era, basata sullo scontro di civiltà, e non ha rappresentato né una vittoria né una sconfitta del fondamentalismo islamico: Al Queda era già in declino, al pari dell’intera galassia del terrorismo internazionale, e da molti anni.

Basta scorrere gli accurati database messi in piedi prima e dopo l’attacco alle due torri - e in primo luogo quello del Dipartimento di Stato- per vederli convergere su un punto: il declino degli eventi di terrorismo internazionale dopo la metà degli anni ’80, e il vero e proprio crollo degli stessi in Occidente e in America Latina nei decenni successivi.
Lìattentato più clamoroso dei nostri tempi non è sfuggito, perciò, alla regola inesorabile che accompagna il metodo terroristico fin dalle sue origini: grande impatto emotivo immediato. Paura. terrore, appunto. E debole o nulla capacità di influenzare il corso vero della storia.
La tragedia di dieci anni fa è rimasta inchiodata al giudizio senza appello che i padri del socialismo emisero sui “signori delle bombe” e sulle loro sanguinose scorciatoie di fine Ottocento-inizi Novecento: inutili e (più spesso) dannosi per la causa della sinistra riformista e rivoluzionaria, manna dal cielo per la destra reazionaria e per l’industria della guerra, pronte a cavalcarne gli effetti per un po’ di tempo.
I grandi processi della nostra epoca hanno proseguito in realtà il loro corso largamente inalterati dalle atrocità di Bin Laden. Mi riferisco alla diffusione dei sistemi democratici e della distensione internazionale correlata (vedi Primavera Araba e diminuzione dei conflitti armati). Mi riferisco al dialogo tra culture e civiltà favorito dalla globalizzazione delle comunicazioni e della conoscenza. E mi riferisco anche ai grandi processi di ascesa e caduta delle potenze mondiali. Cioè al tramonto dell’epoca americana e alla riemergenza dell’Asia come centro dell’economia planetaria.
Per alcuni l’11 settembre non è stato irrilevante, in quanto ha accelerato il declino dell’egemonia americana ed ha fatto comunque molti danni indiretti
all’ Occidente. Secondo Stiglitz ed altri la risposta americana all’attacco fondamentalista ha colpito più dell’attacco in se stesso, perché ha contribuito a buttarci nell’attuale crisi finanziaria. Che è iniziata proprio con le folli spese militari dell’amministrazione Bush per le guerre in Irak e in Afghanistan, pagate senza imporre alcuna tassa extra, coprendo di debiti insostenibili l’America e finendo col mandare in tilt la stabilità finanziaria mondiale.
Condivido questa tesi, anche se penso che la crisi finanziaria ci sarebbe stata anche senza il pretesto della guerra al terrorismo, e che Al Queda e soci si sarebbero rivelati comunque poco rilevanti per la grande storia.

 
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