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Corriere della Calabria, 4 luglio 2013

Progetto Magna Graecia, Arlacchi: "La Regione? Nemmeno un euro"

Intervista di Antonio Ricchio

Pino Arlacchi, lei è un eurodeputato calabrese. Che idea si è fatto della decisione assunta da governo e Commissione europea di istituire una task-force per sovraintendere alla spesa dei fondi comunitari destinati alla Calabria? Si potrebbe dire che l’inversione di rotta promessa dal centrodestra dopo la vittoria alle regionali del 2010 è rimasta solo un annuncio...
«È evidente che siamo in una situazione quasi disastrosa. Basti pensare che la Calabria riesce a spendere soltanto il 20% dei fondi che arrivano da Bruxelles rispetto a una media nazionale pari al 50%. Mancano i progetti e sono completamente assenti le Istituzioni, a cominciare dalle amministrazioni locali fino a quella regionale, senza escludere le università ed altri attori che potrebbero dare un contributo notevole. Nel Meridione, solo Puglia e Basilicata riescono a garantire una capacità di spesa quasi pari a quella delle regioni settentrionali. E nonostante tutto la Commissione europea ha deciso di riconfermare, anche per regioni come Calabria, Campania e Sicilia, la stessa cifra per la prossima programmazione, quella 2014-2020».

Quali sono i termini della sua proposta di far gestire i fondi europei direttamente ai Comuni? Così facendo, non c’è il rischio di creare un cortocircuito istituzionale?
«In Italia ci sono tra i 30 e i 40 miliardi di euro di fondi europei non spesi. Un piccolo tesoretto che potrebbe davvero far ripartire il
Paese. Mi spiego meglio: se questa cifra fosse stata impegnata, il Pil sarebbe salito di due punti. Lei lo sa che cosa si riuscirebbe a fare
in Calabria con 1 miliardo di fondi comunitari?».
Lo dica lei.
«Si creerebbero 100mila nuovi posti di lavoro. Si facciano un po’ i conti e poi si tirino le somme».
Non ha ancora risposto sulla proposta di trasferire ai Comuni la gestione dei fondi comunitari...
«Per la mia esperienza, i Comuni spendono i fondi meglio delle Regioni. La mia idea è quella di demandare tutto, tranne i “grandi
progetti” che rimarrebbero in capo alle amministrazioni regionali, alle associazioni di Comuni. Sono quest’ultime che dovranno
diventare gli interlocutori diretti di Bruxelles».
Il governatore Scopelliti mena vanto dei successi ottenuti in campo sanitario, soprattutto in tema di riduzione della migrazione sanitaria e di contenimento dei costi. Ma i verbali del “tavolo Massicci” parlano di una realtà diversa. Lei che idea si è fatto?
«Che la sanità calabrese abbia bisogno di una decina di anni di buon governo è un fatto così banale che è quasi superfluo ricordare.
Certo, devo ammettere che qualcosa è stata fatta in direzione della chiusura degli ospedali inutili ma accanto a ciò è poi mancato il
potenziamento di quelli lasciati in vita. E poi non vedo la nascita di una rete di strutture in grado di valorizzare le eccellenze mediche
che pure ci sono in Calabria».
Il Pd calabrese, che poi è il partito al quale si è iscritto nel 2010, sembra essersi infilato in un vicolo cieco, concentrato a discutere di rinvio dei congressi e lacerato da polemiche interne. Messa in questa modo, la costruzione di un’alternativa al centrodestra di Scopelliti diventa un’impresa ai limiti dell’impossibile...
«Purtroppo i democrat calabresi non si sono mai liberati dalla mentalità dei “colonizzati”. In questa regione il Pd è un feudo di Roma dove vengono ratificate decisioni prese altrove. Qui, inoltre, abbiamo assistito alle performance di un commissario che si è
arrogato diritti che non aveva. Fuori da ogni metafora, D’Attorre si è comportato come se fosse il padrone unico del partito. Le faccio
un esempio per capire meglio: lui ha scelto di candidarsi alle primarie per il Parlamento in un collegio blindato senza il minimo imbarazzo per la chiara situazione di conflitto di interessi in cui si trovava. Nessuno tra i dirigenti del partito, tranne qualche mugugno privato, ha osato dire nulla. Ora tutti sembrano essersi svegliati e mettono in evidenza la cattiva gestione del partito. Il problema, tuttavia, è che proseguendo in questo modo si fa un danno alla Calabria».
In che senso, scusi?
«I militanti del Pd rappresentano la parte migliore di questa terra. È a loro che penso quando dico che bisogna dare una scossa e
avviare un ricambio profondo nella gerarchia del partito».«Renzi si è un po’ fermato in questa carica innovativa. Se lui non capisce che la battaglia è appena iniziata fa un grave errore».
Lei si è attirato alcune critiche per la nomina, fatta dalla giunta regionale, al vertice del consiglio d’amministrazione della società “Progetto Magna Graecia”, che doveva gestire i beni culturali calabresi. Potesse tornare indietro, accetterebbe di nuovo?
«Senza dubbio sì, perché è un progetto che ho creato e sostenuto io. Il guaio è che mi sono fidato delle promesse pubbliche di finanziamento arrivatemi dall’assessore regionale Mario Caligiuri. Promesse che in seguito sono rimaste completamente disattese. E ora la società pubblica si trova sospesa nel vuoto perché la Regione non ha versato un euro. A ciò si aggiunga pure che sono arrivati i tagli della Ue. Insomma, la società è rimasta al palo eccetto l’organizzazione di una mostra al Parlamento europeo. E dire che avevamo avviato l’iter per il riconoscimento, da parte dell’Unesco, di tutta l’area della Magna Graecia. Parole, o meglio, progetti caduti nel vuoto per colpa della false promesse di Caligiuri».

 
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Pino ArlacchiNon sono una persona complicata. La mia vita pubblica ruota intorno a due cose: il tentativo di capire ciò che mi circonda, da sociologo, e il tentativo di costruire un mondo più decente, da intellettuale e militante politico.

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