Un personaggio inattendibile che il giudice Falcone avrebbe smascherato in poche ore.
Alla base di tutto una “favola” senza riscontri e logica dei rapporti tra politica e Cosa nostra.
L'analisi di Pino Arlacchi
La Ciancimino-story si è conclusa come da copione, ma non perdiamo di vista le sue conseguenze. Che Massimo Ciancimino fosse un teste inattendibile era evidentissimo, e un magistrato come Falcone lo avrebbe smascherato in poche ore. Alcuni suoi successori ci hanno messo tre anni. Pazienza. Ma che senso ha insistere ancora sulla favola mediatico-giudiziaria della trattativa stato-mafia degli anni delle stragi di Capaci, via d’Amelio ed altre?
Giornali e televisioni hanno creato il mito di una serie di incontri, negoziati e “papelli” vari intercorsi tra capimafia e forze dell’ordine, aventi lo scopo di trattare una via di uscita per Cosa Nostra dalla sconfitta del maxiprocesso del 1986-87.
Perché mito di una trattativa in realtà mai esistita? Perché chi lo ha alimentato parla di fatti che galleggiano nell’aria, privi di contesto e zeppi di omissioni. Il contesto è l’Italia di quegli anni, e le omissioni riguardano i titolari delle presunte trattative. Cominciamo da questi.